Quest’uomo che lavora nell’ombra, sovrappone la propria voce a quella dell’autore e ne accompagna il movimento della scrittura. Diventa uno strumento prezioso nelle sue mani, una sorta di penna magica in grado di potenziarne la voce e di far risplendere la luce dell’inchiostro sull’acqua e oltre ogni terra.
Che lavori per degli scrittori di racconti o per pubblicare poesie di altri continenti, il traduttore viene retribuito per numero di battute tradotte – o a cartella, a seconda dell’unità di misura prescelta dall’editore del libro –, il suo contratto è molto simile a quello dell’autore, e talvolta può prevedere una percentuale sul venduto, di solito molto inferiore alla royalty riservata allo scrittore, ma con la possibilità di un ritocco nel caso l’edizione vada esaurita e ristampata. L’opera tradotta è dell’autore, ma è anche del traduttore. Stabilire un confine tra i due non è mai facile, e a riguardo c’è una giurisprudenza sterminata.
Comunque sia, sicuramente l’algoritmo di Google non basta, e non è solo questione di trasposizioni ridicole o imprecise. La traduzione va al di là di un semplice atto meccanico, di un puro gesto tecni-co, per quanto perfetto esso sia. Un traduttore deve cogliere l’anima del libro. Si trova nudo davanti a essa, ora, e sa che non può tradirla. Sa che lei viene prima, sa che il suo nome sarà scritto in piccolo e che quasi nessuno lo ricorderà, ma sa anche che non è questa la cosa più importante. Anzi, se nessuno riesce a vederlo, è proprio allora che il suo lavoro di ladro di parole si rivela nella sua tra-sparente bellezza.