L'autore viene da una lunga e attiva vita politica e sindacale, combattuta principalmente da indipendente. Il padre proviene dalla splendida terra dell'Irpinia, la madre è originaria dell'unica e singolare realtà napoletana, eppure Giuseppe Corona è nato a Molfetta, in provincia di Bari, per motivi legati alla guerra. In Puglia frequenta le scuole medie e il Ginnasio, prima di iscriversi all'università Federico II di Napoli, al corso di Medicina e Chirurgia. È in quel momento che comincia la sua eterna battaglia contro i poteri forti, a favore di studenti, professori universitari, operai, contadini, agricoltori, disoccupati e donne. È il dicembre del 1967 quando inizia il suo impegno politico, con l'occupazione dell'università partenopea. L'anno successivo diventa leader del Movimento studentesco e universitario della Federico II e, nel 1973, è nominato segretario della Sezione Universitaria del PCI, entrando in contatto anche con Giorgio Napolitano, allora responsabile della cultura del partito.
La sua battaglia è soprattutto per la tutela dei diritti degli operai e degli studenti che protestano nel '68 e quando, in relazione alla questione del salvataggio delle fabbriche Italsider, si scontra con i vertici del partito, si dimette. Nel 1978 è dirigente della Confederazione italiana coltivatori (prima CIC, poi CIA, fino al 2008) e intraprende collaborazioni con personalità di spicco della cultura e della politica italiana per la realizzazione di saggi e articoli sui temi sociali. Inizia a simpatizzare per il socialismo e per Craxi e questo lo allontana definitivamente dagli ambienti comunisti.
Si ritira per un lungo decennio a riflettere sui problemi della politica e sugli errori commessi, per cercare di proporre qualcosa di nuovo. Per questo vede nell'ascesa di Berlusconi l'uomo politico nuovo capace di dare la scossa a tutto l'ambiente. Nel 2002 decide così di rimettersi in gioco, diventando prima vicepresidente e poi presidente regionale della CIA. Gli errori del berlusconismo, sempre da lui denunciati con articoli comparsi sui principali quotidiani locali napoletani e campani come "Il Denaro" (su cui tuttora scrive), gli danno modo di mettere definitivamente un punto alle sue aspettative e collaborazioni politiche, facendolo optare per una strada non più istituzionale bensì individuale.
Da queste riflessioni nascono i suoi due libri, entrambi editi da Guida, noto editore partenopeo oggi fallito: "Del Pericolo e della salvezza" e "La Rotazione di Norfolk e la questione meridionale". Se nel primo saggio affronta le ragioni della malattia mortale dell'Occidente, nel secondo si sofferma, come il titolo lascia ipotizzare, sulla questione meridionale, ritrovandosi a discuterne anche in un convegno di fronte alla Commissione Affari Esteri della Camera. Per non essere accusato, però, di eccessivo meridionalismo, cambia il titolo dell'opera e l'editore, che diventano "Tra antico e moderno" stampato dalla BookSprint Edizioni, migliorando alcuni aspetti della precedente pubblicazione.
Il saggio-editoriale non vuole, infatti, essere l'ennesimo messaggio contro il nord e a favore del sud d'Italia. Partendo dalla Magna Grecia e attraverso un'audace e autentica ricostruzione storica, ha invece l'obiettivo di trovare gli strumenti giusti per garantire al Paese la fuoriuscita dalla crisi. È uno sguardo, dal Meridione, sull'Italia intera e sull'Europa. L'idea di base è la centralità del Mediterraneo, andata persa con la scoperta delle Americhe e con l'avvento del Risorgimento, ma soprattutto con la perdita della convinzione che religioso, poesia, filosofia e politica siano i quattro aspetti dell'agire politico autentico. Secondo l'autore, solo la riscoperta di questi principi ispiratori potranno riconsegnare al Mediterraneo il suo ruolo prominente nell'economia e nella storia mondiale.
La questione meridionale, inoltre, deriverebbe dalla negazione dei poteri forti e del potere politico centrale delle condizioni necessarie affinché anche il sud d'Italia possa mettere in pratica la rivoluzione agricola (rotazione di Norfolk), che fu alla base e all'origine del capitalismo inglese e del successo del Settentrione. Da ciò l'esigenza di fuoriuscire dall'eurozona, perché l'Euro è destinato a crollare, per trasformare lo Stivale in una federazione in cui Roma e Napoli siano in simbiosi nel ruolo di Capitale italiana del Mediterraneo.
Ecco perché "Tra antico e moderno" rappresenta il manifesto, diretto soprattutto alle nuove e giovani generazioni, per rilanciare il ruolo dell'Italia nel mare nostrum e nel mondo, a partire dalla riscossa del Meridione.