Infatti l’opera si compone di quattro “Laus” (lodi), quattro sezioni che richiamano l’assoluto; alla vita, all’anima, al tempo, all’amore. In queste si dividono tematicamente i singoli componimenti poetici, dando vita alla struttura perfetta per organizzare e classificare in maniera funzionale il corpus dell’opera.
Nell’introduzione all’opera leggiamo: “O lettore, vorrei farti scoprire un mondo nuovo, nascosto dentro il tuo mondo conosciuto”. La percezione che l’autrice ha del discorso poetico è quindi di qualcosa visibile/invisibile, conoscibile/inconoscibile, dentro e fuori, ma che si vuole fortemente condividere. Per Cristina Ferrazza la poesia è emozione perché è ciò per cui si vive, è eterno perché punta al superamento del tempo e dello status di umano, è divino perché comprende e supera il possibile, ma è anche atto sociale, morale, è anche critica del male, quale sia la forma in cui si presenta.
Se è possibile per un libro del genere avere uno scopo, fra i tanti possibile l’autrice sceglie quello di grillo parlante: “Questo libro di poesie vuole risvegliare voci di coscienze assopite, che nel tempo hanno ceduto, si sono arrese o nascoste per non vedere e poter così dire non sono responsabile”. “Dove l’alba non s’avventura” non solo comprende il mondo e lo rivela agli occhi del lettore, ma diviene potenzialmente arma purificatrice, adunata alla coscienza, salvifica via di (ri)soluzione e in tempi bui, come quelli che probabilmente viviamo e dove la coscienza sembra essere un fastidioso optional, forse è più saggio che folle pensare questo libro in questa maniera.