Nelle prime officine tipografiche – dove il tipografo che fungeva da editore non si limitava a stampare libri ma li vendeva a chilometri zero, la consuetudine frenetica della stampa suggeriva alcuni accorgimenti pratici che poi sarebbero entrati nella struttura del libro in maniera definitiva.
Si stampavano parecchi volumi ogni giorno e, prima di essere rilegati, questi stessi volumi venivano posati su un piano. Molto spesso accadeva che per via dei fumi, delle miscele di inchiostro, delle polveri, si andasse a compromettere la qualità della prima pagina del testo. Questa eventualità richiedeva di assemblare nuovamente quella pagina, legare insieme i caratteri, procedere all’inchiostratura e alla battitura, con un spreco di tempo intollerabile per una moderna stamperia.
Di qui la necessità di proteggere il libro appena nato con una pagina bianca. Ma distinguere decine e centinai di testi coperti da una pagina bianca era praticamente impossibile. Ecco dunque che gli operai addetti alla stampa cominciano a scrivere due semplici informazioni su quello stesso foglio bianco: nome dell’autore e titolo dell’opera.
Nasceva così il frontespizio.
Da lì alla copertina il passo è stato relativamente breve. È lì che oggi gli ultimi libri usciti riportano i dati del frontespizio, abbelliti da una veste grafica accattivante. In tempi meno recenti il nome dell’autore poteva considerarsi come l’antesignano dell’attuale brand; la libreria si costituiva come luogo libero dove il lettore poteva vagare nei propri sogni, e acquistare a buon mercato quelli degli altri.