Quando un libro così importante diventa una pellicola, i dubbi e i pregiudizi dei lettori sono tanti e le indicazioni iniziali dell’autrice al regista sottolineano questo aspetto: deve partire e ritornare tutto al libro, alle emozioni che esso suscita, ai tormenti interiori che le sue parole evocano, alle immagini che scorrono mentre si sfogliano le pagine.
La narrazione si apre con un incidente stradale, in cui la vittima quindicenne Angela, viene trasportata all’ospedale in cui il padre Timoteo lavora come chirurgo. La ragazza ha un’emorragia celebrale molto grave e deve essere urgentemente operata. Nell’attesa dell’esito dell’intervento e dell’arrivo della moglie Elsa, momentaneamente all’estero per lavoro, Timoteo, interpretato dallo stesso Castellitto, comincia un dialogo interiore con la figlia, un racconto-confessione in cui si mette a nudo e svela i suoi segreti, i pezzi di vita che nessuno conosce. Nel film la voce narrante è sostituita dai flashback, così da lasciare la resa dell’emotività solo alle immagini e ai dialoghi e non alla diretta testimonianza del protagonista.
Vediamo così il momento in cui nel destino apparentemente incolore e insapore di Timoteo, un destino borghese già tracciato, di medico affermato con una moglie in carriera, appare Italia, nelle fattezze imbruttite di una magistrale Penelope Cruz. Italia è una donna poverissima,sciatta e goffa, segnata da una vita di provincia e di stenti. Il loro incontro avviene in un contesto squallido e degradato, in una torrida giornata d’estate, e la loro storia nasce nel silenzio di una violenza sessuale consumata in piedi, intrisa di follia e senso di colpa.
Con Italia, Timoteo getta la maschera, perde il controllo, scende dal piedistallo di uomo perbene, di marito integerrimo e diventa “semplicemente” un Uomo, che si innamora, che cede ad una passione rabbiosa, diviso tra la quotidianità senza più stupore con la moglie (Claudia Gerini) e questo sentimento nuovo e violento: “E quando quella mano fredda, come la pietra dov'era posata, si ferma sulla mia guancia, io so che la amo. La amo, figlia mia, come non ho mai amato nessuno. La amo come un mendicante, come un lupo, come un ramo di ortica. La amo come un taglio nel vetro. La amo perché non amo che lei, le sue ossa, il suo odore di povera”. Questi dettagli emotivi così intensi, così penetranti , il film non riesce a renderli, nonostante la bravura degli attori e l’ottima scelta dei luoghi, la sceneggiatura è troppo ferma sulla resa visiva, poco incline alla soggettività dello stile in “prima persona” con cui la Mazzantini ha scritto il libro. La morte di Italia, per esempio, descritta nel romanzo in un modo crudo e romantico al tempo stesso, così forte da lasciare senza fiato, da impedire a tratti il proseguimento della lettura a causa delle lacrime che provoca copiose, non provoca lo stesso effetto sul grande schermo.
La Mazzantini, che certo sa come pubblicare un libro di successo, in questo caso è riuscita a scrivere il romanzo pensando come un Uomo, che parla delle sue donne, di tre donne diverse e ugualmente importanti, di tre donne fondamentali, del filo che le lega, del destino che si fa scelta, che si fa dura realtà, abbandono,rimpianto, rinuncia ad un figlio egualmente desiderato, ma illegittimo: “Non crucciarti, Italia, la vita è questa. Attimi superbi di vicinanza e poi gelide folate di vento. E se tu soffri laggiù, oltre l'ultimo faraglione di cemento, la tua sofferenza mi è ignota in questa distanza, ed è estranea. Che importa se sei gravida di un mio sputo sporco? Stanotte sei sola con il tuo bagaglio sotto la pensilina di un treno che se ne va, che hai perduto.”
Il film è ricco di simbolismi,primo fra tutti, la scarpa rossa che Italia perde prima di essere seppellita e che alla fine della narrazione cinematografica Timoteo riconsegna al fantasma immobile dell’amata, presente nel cortile dell’ospedale durante tutto il racconto; rossa come il casco che Angela perde durante l’incidente, quasi a testimoniare il filo conduttore che lega indissolubilmente le loro vite. Ma non basta.
Il romanzo è un capolavoro, dalla caratterizzazione dei personaggi alla scelta di ogni singola parola, spada che si conficca nell’anima e pesa come un macigno, imprime il peso di ogni emozione, quelle che conosciamo da sempre e quelle che non ci hanno attraversato ancora: la gioia, il dolore, il lutto, la disperazione, l’attesa, il rancore, la finzione. Il film è emotivamente debole e stilisticamente inferiore, seppur buono preso nella sua unicità, ma deludente nel confronto con il romanzo. Non si coglie il significato profondo della storia, il monito trascinante che sostiene tutto il racconto, l’inesorabile morale che ha imparato chiunque abbia una storia d’amore da ricordare:
“Chi ti ama c'è sempre, c'è prima di te, prima di conoscerti.”