In un doloroso gioco delle parti arriva il momento in cui i ruoli s'invertono ed allora il figlio diventa genitore e viceversa. La vecchiaia, o troppo spesso la malattia, ne sono la causa. È in un frangente così pregno di fragilità e di dedizione che anche la roccia più dura, i rapporti più tesi, si lascia scalfire da uno stillicidio debole ma costante di comprensione e disponibilità. Fabiola, attraverso la rievocazione ed il ricordo scritto della figura materna, risponde al desiderio di celebrazione di una donna ilare e solitaria, di colei che l'ha generata, ma verso la quale non sono mancati momenti di ostilità. «La generazione che ci divideva era collocata in uno spazio temporale e geografico troppo grande per sperare in una condivisione senza patimenti. Non eravamo molto lontane anagraficamente, ma la sua gioventù era stata distante anni luce dalla mia e per questo i divari erano quasi insormontabili».
Ogni figlia, nella ricerca della propria identità femminile, sviluppa inizialmente un singolare e conflittuale rapporto con il modello di riferimento; gli affetti, seppure presenti e forti, vengono sotterrati sotto strati di sentimenti contrastanti: astio, pudore, incomunicabilità. In una dinamica tanto affascinante quanto complessa, è la maturità dell'età adulta – nella maggior parte dei casi – a ricucire in modo permanente gli strappi emotivi, attraverso la scoperta di aspetti celati fino a quel momento (più o meno consciamente) al nostro cuore. È forse quando temiamo che il tempo rimasto sia poco, che lasciamo spazio al confronto sincero, ed è allora che si riconoscono all'archetipo gli immensi (e a noi così cari) valori che lo identificano. Con la delicatezza di una figlia diventata madre di sua madre, Fabiola Vicari incoraggia il lettore, anche quello più sfuggente, ad avere cognizione del tempo che corre. Un libro profondamente vero e sincero in cui ogni figlio può riconoscere, teneramente, i propri affetti familiari.