E per farlo s'informa attraverso la frequentazione di locali gay, dove ha modo di stringere amicizia e avvicinarsi a quanti hanno avuto il piacere di raccontare il cammino di consapevolezza della propria identità sessuale.
Ogni testimonianza è la prova di quanto possa essere doloroso e naturale la presa di coscienza di sé. Ciascuno delle persone interpellate ha uno sguardo ed un atteggiamento differente verso l'idea del matrimonio e dell'adozione, mentre è palese il pensiero dell'autore. Quest'ultimo, senza giri di parole, dichiara espressamente la propria contrarietà all'adozione di minori a famiglie gay. Forse radicato in un ideale di completezza familiare di tipo tradizionale, Oscar Davila Toro ritiene essenziale, per un equilibrato sviluppo psicologico dell'essere, crescere in un ambiente dove domina la diversità di genere.
Per l'autore l'identità del bambino si sviluppa in un processo di identificazione (anche sessuale), mentre non contempla l'eventualità di crescita nell'ambito dell'omo affettività. «Si sostiene che, per un bambino, quel che conta è l’amore dei genitori e non il sesso al quale essi appartengono: ragionamento aberrante, perché parte da una premessa giusta (quel che conta è l’amore dei genitori) per giungere, in maniera assolutamente illogica, a una conclusione assurda (i genitori possono essere tranquillamente due uomini o due donne).» Ma quasi in un tentativo di mediazione, l'autore si mostra disponibile verso un altro tipo di adozione: quella a distanza. «Se vivrà con due uomini, come potrà crescere senza l’amore della madre? E se vivrà con due donne come potrà crescere senza l’amore del padre? Una cosa giusta è l’adozione a distanza: far crescere un bambino grazie al nostro aiuto, dando ciò che gli manca.» Attraverso un periodare strutturato in medio-lunghi segmenti espositivi, Oscar Davila Toro rende il lettore partecipe delle proprie convinzioni sui diversi aspetti dell'omosessualità.