«non era altro che un incavo nel muro, dove i bambini orfani venivano depositati. Si faceva ruotare all’interno del convento e si suonava una campanella per richiamare l’attenzione delle persone che stavano all’interno. Rimasi in quell’orfanotrofio per molti anni e vidi tutto quello che un bambino non dovrebbe vedere. Violenze, maltrattamenti, abusi… […] Era solo l’inizio di tutta la mia vita ed è per questo che dopo tanti anni ho voluto scrivere la mia storia e raccontare tutto».
Le ragazze madri partorivano poco lontano dall’orfanotrofio, nella cosiddetta «clinica privata», un’ambiente spartano dai muri spessi, per meglio nascondere la vergogna delle famiglie, soprattutto se benestanti. Su quelle mura si infrangevano le grida del travaglio di una gravidanza indesiderata, su quei mattoni si rompeva l’eco dei vagiti che preludeva l’abbandono.
Da lì in poi cominciava l’inferno degli orfani, mascherato da simboli e figure religiose. «Violenze morali, maltrattamenti, discriminazioni, paure» erano all’ordine del giorno. I bambini erano costretti a patire la fame, e ridotti all’obbedienza dal terrore:
«Non potevamo neanche piangere, perché, se lo facevamo, venivamo picchiati dalle suore. Mi ricordo di un mio compagno che un giorno, entrando in una stanza, trovò una tavola bandita di tante cose da mangiare. C’erano carne, pane, dolci, frutta, verdura... Vedendo tutto questo, si avvicinò al tavolo per prendere qualcosa, ma una suora entrò e lo vide. Si avvicinò al bambino dicendogli: “Questo cibo è per noi suore, non per voi bambini!”. Appena finita la frase, lo prese con forza dal braccio e, tirandogli uno schiaffo al viso, gli procurò un taglio con le unghie. Gli fece una ferita talmente profonda che si dovette sottoporre ad una plastica facciale».
“Una carezza mancata” è il racconto sconvolgente di un uomo che ha trovato la forza di parlare, per denunciare ciò che è accaduto e che potrebbe ancora accadere al buio di muri troppo spessi. Perché, come dice lo stesso autore, «questo è solo l’inizio di tutto quello che abbiamo dovuto sopportare».