«Ieri si respirava un’atmosfera quasi magica», dice il trentunenne regista. «C’è stato uno sprint che davvero non mi aspettavo. Sono felicissimo per tutte le persone che hanno lavorato a questo corto, e in modo particolare per gli attori. Franco Giacobini e Angela Goodwin hanno novant’anni, e nonostante fosse un corto, nonostante il loro curriculum, e pur essendo lontani dalle scene da diec’anni, hanno aderito al progetto perché hanno percepito davvero l’essenza, il cuore del film. L’emozione è tanta. Ho semplicemente realizzato un lavoro che ha toccato il cuore della gente. Io ci ho messo il cuore, e credo che la gente abbia capito».
Una squadra vincente. «Zen.movie e Digressione Cinema hanno coprodotto il cortometraggio. Siamo davvero una famiglia. Tutti i giorni ci battiamo, perché vogliamo farlo, questo mestiere. “Carlo e Clara” ci ha dato tantissime soddisfazioni. È stato uno dei corti più amati e premiati di quest’anno. Ricevere tutto questo affetto, tutta questa energia positiva dalle persone, è qualcosa che difficilmente si può spiegare. “Carlo e Clara” ha vinto attraverso il passaparola. La gente lo ha guardato e se ne è innamorata. Io faccio arte per condividere, non per me stesso. Ho percepito l’amore per questo piccolo film».
Ma come è nato questo cortometraggio?
«In un momento non proprio positivo della mia vita, uno di quelli pensi di non poterti rialzare. Ho scritto una storia che fosse una metafora della rinascita. Una storia sulla bellezza della vita, dei valori, dell’amore. Da questo punto di vista “Carlo e Clara” è stato profetico. L’attrice coprotagonista, Virginia Gherardini, è la mia compagna. Qualche mese dopo averlo realizzato abbiamo scoperto che presto saremmo diventati mamma e papà – lui si chiama Theo».
Girato nell’agosto del 2012 a Molfetta (Ba), città di cui è originario lo stesso regista, il corto vede una coppia di anziani, Carlo e Clara, attendere “il proprio turno” tenendosi per mano. «Il corto affronta il tema della morte, ma lo fa dal lato della vita», continua Giulio Mastromauro. «Ho deciso di raccontare la storia di due anziani, e mi piaceva pensare che loro avessero paura di vivere, anziché di morire. Ed è un po’ una sindrome di cui soffre la mia generazione, ma anche il Paese in generale, che è sfiduciato. Ed è un vero peccato. Noi siamo stati per millenni detentori e portatori di bellezza nel mondo; ora siamo diventati un po’ esterofili, crediamo di non saper fare cinema.
Lo dico con molta umiltà: spero di migliorarmi, di poter fare sempre meglio, di realizzare un giorno dei film che piacciano alla gente. Il messaggio che ho voluto lanciare è racchiuso nella frase di Carlo: “Vorrei poter tornare a respirare a pieni polmoni, e magari insegnare ad altri quello che la vita ha insegnato a me: lo stupore di esistere”. È questo che vorrei insegnare a mio figlio: lo stupore di esistere».
Cosa si prova ad aver vinto il David di Donatello Sezione Web?
«La soddisfazione di questo premio è grande, perché non era semplice. Alcuni dei lavori in gara sono veramente stupendi. C’è stata una bella competizione. Prima del concorso avevo già pensato di veicolare “Carlo e Clara” su YouTube, per regalarlo alla gente e farlo conoscere. Poi è arrivato “Premia il Tuo Corto Preferito” – quale occasione migliore? Ho inviato il corto a tutta la gente che conoscevo. È successa una cosa incredibile. Il passaparola è cresciuto in maniera quasi inarrestabile. Le persone a cui l’ho fatto vedere inizialmente mi dicevano “Ok, è un corto, lo guarderò”. Poi mi scrivevano dopo cinque giorni, e mi dicevano ho pianto, mi sono emozionato, è stato bellissimo, devo farlo vedere ai miei amici… È stata una cosa incredibile. E ieri tutti continuavano a chiedermi “Ma abbiamo vinto?”. Usavano il Noi… Credo di poter dire che è davvero un premio della gente. Quando ricevi tanto affetto, non puoi che dire “Giulio, hai fatto qualcosa di buono”».
Cosa vorresti dire a quei 5683 che ti hanno votato?
«È una bella domanda. Vorrei abbracciarli uno per uno, fargli sentire che la loro energia l’ho avvertita. Ho ricevuto tantissimi messaggi. Persone che hanno avuto un lutto importante guardando il corto hanno immaginato il proprio padre o la propria madre, mi hanno scritto parole di speranza. A tutti dico ci vediamo al prossimo corto, e spero di poter continuare a regalare emozioni, come loro le regalano a me. Il cinema è uno scambio di energia».