Scritto da Giuseppe Tomasi di Lampedusa, a cavallo tra il 1954 e il 1957, e giunto a noi grazie alla pubblicazione postuma a cura di Giorgio Bassani per la casa editrice Feltrinelli. Un affresco storico dell’Italia garibaldina che ha colpito la vena artistica del grande regista Luchino Visconti che decide, nel 1963, di dirigerne la trasposizione cinematografica.
Il titolo racchiude il senso profondo della trama del romanzo, in cui la nobiltà, rappresentata dalla famiglia siciliana dei Salina e dal rispettivo stemma del gattopardo appunto, cede il passo all’avanzare della nuova classe borghese, quelli che lo stesso Principe protagonista definisce sciacalli e iene, pronti a banchettare sui resti di quegli antichi privilegi. Visconti resta estremamente fedele al realismo letterario aderendo nei dettagli al testo: dai costumi agli oggetti, nulla è lasciato al caso, tutto riproduce esattamente l’ambiente descritto da Tomasi Di Lampedusa. La difficile resa nel presente di un’epoca passata è sapientemente facilitata dalla ricercatezza di questi particolari, attraverso inquadrature in cui ogni quadro incorniciato e ogni merletto di fastosi abiti impomatati omaggia l’atmosfera di fine ‘800-inizio ‘900. La ricchezza degli ornamenti e la profondità della descrizione non impediscono poi al regista di sottolineare con forza la psicologia dei personaggi,vero perno del romanzo.
Nelle sue pagine infatti, lo scrittore siciliano aveva narrato le vicende di casa Salina attraverso l’emotività critica e lo sguardo aristocraticamente severo, ma storicamente rassegnato del capofamiglia, il Principe Fabrizio, interpretato da un intenso Burt Lancaster. Il regista riesce a disegnarne un ritratto preciso, virile ed elegante allo stesso tempo, disilluso e carismatico, restando fedele ai dialoghi presenti nel libro in cui il nobile parla con romantico disincanto della sua Sicilia, terra conquistata e mai in pace con se stessa, terra destinata a subire il cambiamento senza cambiare mai davvero.
Un giovanissimo Alain Delon interpreta Tancredi, nipote prediletto del Principe, spensierato idealista dalla battuta pronta e dai freschi ideali che si unisce ai garibaldini nella presa di Palermo. Quest’ultimo si innamora della bellissima Angelica (Claudia Cardinale) figlia del sindaco di Donnafugata, Calogero Sedara, esponente volgarotto e corrotto del ceto sociale borghese, destinato a prendere il sopravvento e a soppiantare la nobiltà. Il matrimonio tra i due sarà proprio il simbolo di questa inevitabile fusione di classi, di questo miscuglio tanto avverso nel pensiero al Principe che traspare solo leggermente all’esterno, mascherato dall’elegante superiorità con cui affronta il radicale cambiamento giunto con i moti e con la rivoluzione.
Figure chiave sono poi quella di Padre Pirrone, il parroco della famiglia Salina, esponente tipico del clero del tempo, rappresentato con la sua buona dose di ipocrisia e interessato unicamente a tutelare gli averi ecclesiastici e quella di don Ciccio Tumeo, compagno villano di caccia del Principe e suo interlocutore durante lunghi dialoghi ideologico-politici. La pellicola mostra la sua debolezza nella poca rilevanza che viene invece purtroppo riservata al personaggio di Concetta, figlia del Principe, e da sempre innamorata di Tancredi. A lei sono dedicati gli ultimi capitoli del libro che il film, molto probabilmente per la già eccessiva durata della pellicola, non riporta. Dopo la morte del padre, infatti, lei che non si è mai sposata in nome di quell’antico e impossibile amore, resta la custode degli antichi splendori di casa Salina, che la decadenza lentamente trascina nell’oblio.
Molto delicata è proprio la resa cinematografica del rapporto del principe Fabrizio con la morte, scena di cui non abbiamo visione, contrariamente alla dettagliata descrizione del libro, ma che ci viene disegnata, quasi come un dipinto, da Visconti, che ci mostra don Fabrizio, stanco dopo aver preso parte ad una sontuosa e interminabile festa da ballo, scena in cui la colonna sonora ci regala un inedito valzer di Verdi, allontanarsi da solo nelle prime luci dell’alba, avvolto nel suo elegante frac, completo di tuba e bastone, mentre implora il suo desiderio di pace eterna alla lontana luna.
Dopo essere stato riconosciuto un capolavoro dall’ editoria italiana, il Gattopardo è stato anche insignito di notevoli premi a livello cinematografico, quali la Palma D’Oro di Cannes, il Nastro D’Argento e il David di Donatello.
È un film-affresco, che non delude, ma che resta in ogni caso un passo dietro al libro, superiore in stile, in introspezione e anche in modernità, grazie al linguaggio leggero e non appesantito da storicismi e arcaismi, attraverso il quale il lettore costruisce la personalità dei suoi personaggi che il film non riesce a rendere nella loro completa intensità.