Il fascino del frutto proibito si perde nei secoli dei secoli. Il divieto accende la curiosità, con buona pace dei censori. Nella maggior parte dei casi si tratta di una precisa strategia commerciale, ma qualche tempo fa – non poi così tanto – mettere alla prova l’ordine costituito non rientrava in questa logica. C’era chi redigeva un elenco di libri “pericolosi per la salvezza dell’anima”, e si preoccupava di aggiornarlo di anno in anno.
Stiamo parlando dell’Indice dei libri proibiti – ma pronunciarlo in latino fa sempre più impressione: Index librorum prohibitorum.
Roba di secoli fa.
Certo. Istituito nel 1558, resta in vigore fino al ’66. Ma del Novecento. In sostanza, se negli anni Sessanta volevate essere buoni cattolici, ed evitare di beccarvi una scomunica automatica, avreste fatto meglio a non leggere Moravia o Galileo.
Ma, nella seconda metà del Cinquecento, a preoccupare i trasgressori non era tanto la scomunica, quanto le multe, il carcere, e i terribili interrogatori dell’Inquisizione.
La Congregazione dell’Indice aveva il compito di giudicare tutto lo scibile, cioè leggere ogni libro pubblicato, per poi indicare quelli peccaminosi, che non potevano assolutamente essere commerciati. Ciò significa che se un editore ha appena stampato Boccaccio (anche lui era all’Indice), si ritrovava con una perdita secca. Che fare? Dare tutto alle fiamme prima di essere imprigionato e percosso, certamente.
Ma non sempre ciò accadeva. L’Index era davvero così efficace?
Di sicuro i titoli elencati dovevano contenere qualcosa di misterioso, di innominabile. Scatenavano una curiosità irrefrenabile. E, a cascata, un fiorente commercio clandestino.
Smerciare libri proibiti era un mestiere pericoloso – l’Inquisizione non scherza –; chi voleva possedere quelle pagine doveva perciò pagare profumatamente. Grande rischio, grandi guadagni: un affare d’oro per i tipografi più spregiudicati. Il prezzo di questi volumi era giustificato non dalla qualità della fattura o dal contenuto, ma in virtù della sua pericolosità.
Il libro “proibito”, in bella mostra sullo scaffale della libreria, è lo stesso vecchio trucco che funziona sempre. Prima di precipitarsi alla cassa, è sempre meglio dargli un’occhiata.