La famiglia di Teresa non esiste più. Restano solo lei e una delle tre sorelle minori. «Ricordo ancora l’abbraccio, il fatto di essere stata sollevata sotto le macerie. Come se fosse oggi. Continuavo a urlare, a chiamare mia madre, a chiamare mia nonna».
A raccontarsi ai microfoni di TV 2000, per la trasmissione “Nel cuore dei giorni”, condotta da Vito d’Ettorre, è una Teresa Fasano ormai adulta, ma che non ha mai dimenticato. Perché dimenticare non è possibile. «Io ho avuto incubi per anni. Ogni notte mi svegliavo urlando e piangendo. Era la mia realtà ordinaria, io convivevo con le mie paure». Tra le mani stringe il suo libro, “Il crollo di un’identità”, che racchiude il senso di quella terribile vicenda.
Da quel giorno in cui un braccio l’ha sollevata dalle macerie, per Teresa è cominciata un’altra storia. Si è salvata, ma il peso del cemento le opprime il cuore. C’è un dolore troppo grande, che non le è concesso di vivere. Intorno a lei, sembra quasi esserci una festa. I parenti le fanno visita, le portano i giocattoli. Sorridono, ma la bambina è costretta a sopportare gli sguardi pietosi sopra le bocche allegre. «Era un modo per stordirmi, per cercare di non farmi pensare alla morte dei miei genitori, per cercare di farmi distrarre. Ma non accuso nessuno, perché tutto questo è stato fatto in buona fede».
Al posto del cordoglio, c’è il silenzio; dove dovrebbero scorrere le lacrime, c’è una maschera di felicità. «Nessuno mi doveva dire niente, perché io già sapevo. Nessuno mi ha detto “I tuoi genitori sono morti’. Sono stata privata persino di quell’abbraccio in cui il lutto trova conforto».
Passa solo un mese, e la vita delle due sorelle cambia d’improvviso. «Sono stata adottata, insieme a mia sorella. Siamo state sradicate dal nostro nucleo familiare. La mia idea era che la mia vita potesse continuare con la mia famiglia, i miei zii, i miei cugini. Ma le cose andarono diversamente.
Venimmo accolti da una bella famiglia, la famiglia Fasano, di cui ora porto il nome, ed è così che è iniziata la mia nuova esistenza, con una nuova mamma e un nuovo papà».
Ma la piccola Teresa non riesce a darsi pace. Quel peso continua a opprimerla, la ferita ancora sanguina. «La sensazione che io ricordo, quella sicuramente a me più familiare e forte, è la profonda vergogna, quella che si prova verso tutto ciò che non è più familiare». Tutto ciò che la circonda le è estraneo, ed è proprio a quegli sconosciuti che lei dovrebbe essere grata. «La mia oppressione fondamentale è quel senso di riconoscenza eterno, che dovevo provare verso persone che si prendevano cura di me. Io sapevo di non poter ricambiare, e quindi mi sentivo sempre profondamente ingrata, anche di non riuscire a provare i sentimenti naturali di un figlio verso i propri genitori, perché per me erano degli estranei».
Sua sorella, invece, vive l’esperienza in modo completamente diverso. «Avendo il carattere molto diverso dal mio, si era concessa il lusso di piangere, cosa che non era capitata a me. Perché io mi ero già strutturata quasi come una madre nei suoi confronti, e il mio dovere fondamentale era quello di proteggerla. Il mio timore era quello che se piangevo anch’io potevo essere un peso maggiore per i nuovi genitori. Per cui io mi diedi a loro come una figlia perfetta, e facile da crescere soprattutto».
La vergogna, il dolore, il dovere di proteggere. Sono questi i sentimenti che caratterizzano i primi tempi della vita di Teresa Fasano.
Col trascorrere dei mesi imparerà ad accettare e amare i suoi genitori adottivi. Ma quando un infarto fulminante stronca quello che è ormai diventato suo papà, Teresa ripiomba nel passato. gli stessi atteggiamenti pietosi. Gli stessi sguardi fastidiosi.
Ma il suo cuore ha continuato a battere, determinato a vivere, proprio come in quelle ore, sotto il peso del cemento. «Io ce l’ho fatta, e sono qui a parlarne», dice, e le telecamere inquadrano un sorriso sereno. «Questo testimonia il mio coraggio. Voglio comunicare agli altri che si può uscire anche da traumi così violenti».