Ma anche a Brescia, dove per tutto questo tempo ha fatto l’insegnante, Giuseppe pensava ai suoi alberi, a quel sole, a quel cielo.
Cammina per i campi, il Professore, e indica le piante secolari devastate dal fuoco. Da quando è tornato per riprendere in mano l’azienda agricola ereditata dal padre, la 'ndrangheta non gli ha dato tregua. «Ogni anno mi succede qualcosa. Vogliono mandarmi via, per prendersi la terra» spiega all’inviato del Tg2. Ma lui non s’è arreso, neppure quando l’unico amico che era rimasto al suo fianco ad aiutarlo è stato costretto ad andar via. «Gli hanno detto: “Cà, è cosa nostra. Vattìnni, che non è cosa tua.” E lui se n’è andato.»
Ma Giuseppe Spinelli resta saldo al suolo, con le radici che artigliano il terreno, proprio come quei tronchi che svettano e fioriscono da più di cent’anni. Conosce la loro storia, ne accarezza la pelle di legno e sembra quasi ascoltarne le parole. Il sigillo di carta è il romanzo che racconta tutta la storia, senza strappare le pagine della vergogna, senza omissioni di comodo. Attraverso le memorie di un soldato borbonico, i personaggi storici ritrovano la propria voce, e le parole sono proprio quelle realmente pronunciate, documenti alla mano. L’annientamento del Regno delle Due Sicilie, la nascita dell’Italia Unita, emergono dalle pagine, per additare i crimini, chiunque li abbia perpetrati, svincolandosi dall’omertà nemica della giustizia, perché ammettere gli abusi e i soprusi che sono stati commessi è la strada per risanare i rapporti tra le due Italie. Il sogno del capitano Spinelli, che sperava in un Unità basata su uguaglianza e rispetto, s’infrange su una realtà aspra e brutale.
C’è tutto questo dentro lo sguardo di Giuseppe Spinelli. Le associazioni Reggio Non Tace e Libera di Don Ciotti sono al suo fianco. E lui resta qui, in piedi accanto al suo albero. «Potete bruciare tutto, potete distruggere tutto, ma questa terra andrà avanti, andrà a qualcuno che la coltiva.»