Classe 1950, allenatore e insegnante di educazione fisica in pensione, Mario si sveglia in piena notte in preda a uno strano tormento. Beve un bicchiere d’acqua. C’è una voce da lontano che lo sta chiamando. Lui accende il computer, e comincia a scrivere.
È nato così “L’angelo dai riccioli d’oro”, la storia di un’amicizia interrotta dalla tragedia, il 3 aprile del 1956. Un’amicizia che – Mario De Santis ne è sicuro – sarebbe durata per sempre. Perché Claudio era il suo amico del cuore. È stato lui a chiamarlo, in piena notte. Per far correre le barchette sul fiume e poi affondarle coi sassi. Per lanciare gli aeroplani di carta e farli volare lassù, sperando che non cadessero mai. Per inseguire ancora Pippo, quel gatto apparso dal nulla, che mai ha voluto farsi prendere.
«A volte la fantasia e la realtà si incrociano in un gioco che può sembrare assurdo ed incredibile, ma non per me che l’ho vissuto in prima persona e che sono stato, mio malgrado, un testimone oculare dell’accaduto».
Claudio «era un bellissimo bambino con lunghi capelli biondi, corretto nel modo di esprimersi e delicato nel modo di fare. Già allora mostrava una serenità interiore incredibile ed una non comune sensibilità. Non lo vedevo mai imbronciato, aveva sempre il sorriso sulle labbra e la sua disponibilità non aveva limiti».
Con Mario formano una coppia di amici inseparabili, insieme ogni volta che si poteva. Spesso si fermavano davanti alla stufa, per riscaldarsi e riprendere fiato. Claudio «all’improvviso apriva lo sportellino della stufa… un’ondata di forte calore colpiva le nostre guance che, di colpo, si arrossavano. Dopo qualche attimo di silenzio, mentre i nostri occhi erano fissi sulle fiamme di colore rosso/giallo che si stavano sprigionando, Claudio, il bambino dai capelli biondi, poggiava delicatamente la sua mano sulla mia spalla e, puntando il dito su quelle fiamme che si innalzavano, rivolgeva deciso il suo sguardo verso di me ancora una volta. Poi, con estrema naturalezza e con la solita dolcezza, mi sussurrava queste semplici, testuali parole: “Vedi Mario… quelli sono gli angioletti che mi stanno chiamando…!”».
Cosa è accaduto quel pomeriggio, quando Mario e Claudio non hanno potuto giocare insieme? Mario ha ricevuto la visita di una zia, poi si è attardato per accompagnarla alla stazione. Al suo ritorno, Claudio non c’era più. Tutti lo cercano, gridando il suo nome mentre il giorno muore. Di notte, fasci di luce ancora cercano il bambino, fino a convergere tutti verso una pozza di calce viva. Suo padre afferra un bastone e si fa largo tra la folla. Lo cala nella pozza e comincia a muoverlo. Si arresta ed estrae qualcosa. Mario ancora ricorda le grida di quell’uomo che cammina baciando il corpo di suo figlio. Poi la bara bianca, e più nulla.
«Continuavo ad affacciarmi sul balcone con la speranza di vedere spuntare Claudio da qualche parte, magari ad inseguire il suo Pippo, ma questa mia speranza rimase purtroppo vana e delusa. Ancora per qualche giorno vidi il nostro gattino aggirarsi tra i cespugli, fino a quando non svanì nel nulla».
Fino a quella notte inquieta, quando Mario si sveglia a comincia a scrivere. «Sarai in compagnia di quei tuoi angioletti, che ti chiamavano fortemente e che egoisticamente ti hanno voluto con sé e, di sicuro, anche tu sei diventato “L’Angelo dai riccioli d’oro”.
Oggi avresti 60 anni e, chissà, forse avremmo avuto ancora la possibilità di ritrovarci insieme, (ma senza più correre!), per una rilassante passeggiata a ricordare i nostri bei tempi. […] Quando ti raggiungerò, sono sicuro che tu mi accoglierai di nuovo con l’entusiasmo di sempre e le nostre vite si potranno così ricongiungere e questa volta definitivamente. Senza dubbio ritorneremo a giocare insieme, con allegria e serenità, come se tutto questo tempo non fosse mai trascorso e non si fosse fermato, bruscamente, a quell’ormai remoto 3 Aprile 1956».