«Il sogno della vita era scrivere un libro. Però si rimanda, si aspetta l’occasione, l’ispirazione, la storia giusta». Poi tutto questo arriva, e il sogno si materializza, e ora ha un nome: “Volevo solo amare”. Dentro questo libro c’è il suo mestiere, che le dà la possibilità di attingere a un serbatoio di storie praticamente sterminato. «Io sono psichiatra, ascolto le storie degli altri. Da questo ho preso spunto, mettendoci la mia esperienza personale». Originale è anche la struttura narrativa di questo romanzo. «Alla fine di ogni capitolo o c’è un riferimento di qualche canzone, o c’è qualche breve poesia scritta da me».
“Volevo solo amare” «è una storia d’amore. Racconta il dolore della fine di una storia. Il protagonista maschile ha creduto molto in questo sentimento. Alla fine soffre molto. Lui non chiedeva chissà cosa, voleva una vita semplice, piccole cose di tutti i giorni, come condividere una cena, un tramonto, un film. Cose che sembrano piccole, ma che in realtà sono importanti nella vita. Lui “voleva solo amare”. Sembra poco, ma invece è tanto. L’amore vero è una cosa molto importante, molto forte».
La storia è circoscritta da quelli che l’autrice definisce due uragani. Il primo è l’arrivo di una donna nella vita del protagonista, che fino a quel momento era sostanzialmente piatta. Il secondo, dopo una dolce illusione durata dieci anni, arriva a capodanno, e si porta via tutto. Cosa è accaduto in questi dieci anni, e cosa è accaduto in quel primo dell’anno?
«È finita l’illusione, il sogno a cui si era aggrappato questo personaggio. L’incontro con una ragazza molto più giovane gli porta una ventata di freschezza, di speranza, di voglia di fare; e soprattutto lo fa entrare nel mondo della musica, il mondo che lui aveva sempre sognato. Quindi per dieci anni c’è un’illusione globale, a 360 gradi: l’illusione di poter dividere una vita, di poter mettere in atto dei progetti. Invece quel primo gennaio cade il mondo, anche perché si intreccia la scoperta del tradimento di questa ragazza con la perdita della madre. Sono due dolori che si sovrappongono, e diventano un fardello insopportabile. Col tempo lui scopre altre cose, e tutti quei dieci anni vengono frantumati. Piano piano il sogno si spegne».
Facendo eco a una celebre canzone, lei scrive una frase molto forte: “D’amore non si muore. È vero, purtroppo è vero. Ma non si vive più”. Che cosa intende dire?
«Il protagonista, citando una frase di Oscar Wilde, dice “che peccato non morire al posto giusto”. Non si muore, apparente si vive, ma questo dolore è più insopportabile della morte stessa, questo dolore continuo, giorno per giorno». Non è ancora morte, ma non si può più chiamare vita. «Si vive perché si va al lavoro, si affrontano le piccole cose quotidiane, ma dentro l’anima è spenta».
“Volevo solo amare” è il risultato dell’impeto creativo e di un attento lavoro di perfezionamento. È un libro ben scritto, che ha già incontrato il favore del pubblico per lo stile semplice e accattivante, tipico della scrittura di Susy d’Esposito.