«Quando sono nato, il Milan era in Serie B. Non ho visto vincere il Mondiale di luglio all’Italia, se è per quello. Ero nella pancia di mia mamma e, mi hanno riferito anni dopo, scalciavo di brutto: in effetti sono nato di otto mesi, e la fretta c’era a prescindere. Mi sono rifatto nel 2006, per la Coppa del Mondo, nel pieno del passaggio dall’adolescenza all’età adulta. E anche il Milan, nel frattempo, era cresciuto parecchio. Come me, del resto. Caro papà e cara mamma (più altre persone che citerò), grazie per avermi fatto nascere in B. Ci ho solo guadagnato». Con un testo asciutto e una prosa scorrevole, l’autore racconta il Milan e la sua vita come nessuno aveva mai fatto. Ma ognuno di noi avrebbe qualcosa da scrivere, ripensando a tutti i 90 minuti della propria squadra del cuore.
Una sua ex lo definiva “un anima inquieta”, ma Alessandro F. Ruta, giornalista di Milano, ci ripensa e sorride. Pensa a se stesso come a un ragazzo che lavora e che ama il cambiamento, che cerca sempre qualcosa anche se non sa bene cos’è. «Una delle cose che mi aiuta è la scrittura. Mi piace, mi è sempre piaciuta. Appena ho una mezza ispirazione mi metto a scrivere, e scrivo di tutto». Ed è così che è venuto fuori “Confessioni di un Milanista”, «nato in un pomeriggio estivo in cui facevo tutt’altro». Ma l’idea è buona, Alessandro va avanti, continua a scrivere, corregge, ordina, e si ritrova con un libro in mano. «È venuto fuori una specie di “Alla ricerca del Milan perduto”», dice scherzando, e lo scrive sin dalla quarta di copertina («Qua non c'è nessuna madeleine proustiana»). I diavoli rossoneri hanno certo avuto giorno migliori.
Alessandro F. Ruta è un professionista della penna, ma ritiene che «l’autoironia dev’essere la dote principale di una persona. È una cosa che manca a molti giornalisti. Alla fine sei pur sempre un parere, sei una visione del mondo e non LA visione del mondo. E poi a me è sempre piaciuto sdrammatizzare, è una dote di natura». E questo suo ultimo lavoro non fa eccezione. Semplice, ben scritto, diretto. «Sono “Confessioni”, sono io, parlo in prima persona. Avrei voluto inventare un Marcel, come nella Recherche, che parla in terza persona. Ma qui stiamo parlando di calcio, i famosi massimi sistemi non sono questi».