Ma com’è possibile diventare credenti in una famiglia atea?
«Forse proprio perché siamo nati da una famiglia lontana da Dio, abbiamo sentito con tanta forza il desiderio di avvicinarci a Lui. Ma quello che sappiamo sul cristianesimo lo abbiamo appreso dalla nostra madrina di battesimo, Mimmi, ci ha fatto da guida, da mamma e da papà ».
Falegnami e scenografi, esperti di teologia e studiosi di lingue straniere, i Gemelli Mà nduca hanno sempre lavorato, con le braccia e con la mente, nella solitudine della campagna di Sciolze. L’isolamento del paesino piemontese ha segnato il loro corpo e il loro spirito. Figli unici di genitori molto più vecchi di loro, i due fratelli imparano presto a contare l’uno sull’altro e ad aiutarsi reciprocamente. Il padre si ammala di una forma aggressiva cancro al cervello, che lo lascia senza speranza di guarigione; si spegnerà tra le mura domestiche lasciando i figli 14enni. Dopo la perdita del marito, l’alcolismo materno si aggrava, e la morte colpisce ancora una volta lo spirito di Daniele ed Edoardo.
«Abbiamo perso anche la nostra madre, dopo una lunga lotta con l’alcool, nel quale lei era caduta. È caduta in quel baratro che può prendere l’uomo troppo mondano, che si lascia sfuggire la propria vita».
Ma c’è una forza in grado di superare tutto questo: “La forza dell’animaâ€.
«È quella forza che sostiene lo spirito, e che si acquista dopo tante sofferenze. Soffrire nell’anima vuol dire fortificare l’anima, prepararla ad affrontare la vita. Bisogna lottare, e anche Papa Francesco ce lo ha fatto capire. Bisogna andare contro corrente. Perché non serve a niente vivere, se non si lotta».