Questa entità pare riuscire a dare un senso all’esistenza stessa oltre a confermare la grande fede dell’autore. L’ordine delle poesie è relativo proprio al tempo e allo scorrere di esso e i titoli sono tutti diversamente scritti, quasi a significare che nulla è assoluto, nemmeno qualcosa di oggettivo come un numero, un orario. Abbiamo quindi: “Ore 15 § 29”, “Ore pi greco (3,14)”, “Ore 11 e zero otto”, “Il caffè delle 5 meno ¼” e via discorrendo.
Il tempo d’azione è facilmente individuabile grazie alle liriche stesse, ma chiaramente la realtà e/o il concetto che dispiegano le parole di Claudio Alciator travalicano questo limite parlando di cose lontane o così vicine da essere dentro di noi, in fondo come solo le cose vere sanno stare. Possiamo ipotizzare persino una data in cui si collocherebbe l’opera: il primo aprile di un anno non ben definito. Infatti la prima lirica s’intitola “Non vedo l’ora (pesce d’aprile)” e non sembra un caso che oltre a indicarci un ulteriore coordinata temporale, ci dia anche una chiave di lettura dell’opera: non è necessario prendersi sempre sul serio.
Claudio Alciator nasce a Roma nel 1969 e dopo la laurea in “Scienze statistiche” diventa insegnante di sostegno e di matematica e già, nonostante le poche opere poetiche prodotte, può vantare il beneficio di uno stile originale e di una semplicità “pensosa”. Pensosa perché induce a riflettere su ciò che all’autore accade che a noi tutti accade, nonostante nulla di ciò che usa nelle sue liriche sia troppo complesso o volontariamente ermetico. E allora non ci resta che servirci di queste poesie strapazzate, poetiche frittate.