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BookSprint Edizioni Blog

26 Ott
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Intervista all'autore - Giuseppe Orifici -

Ci parli un po' di Lei, della Sua vita. Da dove viene? Come e quando ha deciso di diventare scrittore?
Figlio unico, in una famiglia siciliana composta da genitori, una nonna ed uno zio, celibe, avevo come compagno solo un buon libro.
La lettura mi accompagna da sempre. Romanzi, poesie, saggi. Persino l'esempio dello zio, scrittore invero non molto fortunato, con diverse pubblicazioni tra gli anni '60 e '70. Negli anni '90 mi sono cimentato con le poesie, ripromettendomi più volte di mettere su carta le mie storie ed impressioni. Adesso, alle soglie della pensione, ho preso coraggio e mi sono deciso.
 
Nell’arco della giornata qual è il momento che dedica alla scrittura?
Non c'è un momento preciso. Magari il pomeriggio, o la mattina al mare. Quando l'ispirazione mi monta dentro. Talvolta ci rimugino per giorni, o la notte. Poi, di getto, scrivo. Poi rileggo e sistemo, limo, cambio, rivoluziono.
 
Il suo autore contemporaneo preferito?
Ken Follett, sicuramente. Ma ho quasi tutti i libri di John Grisham e di Valerio Massimo Manfredi. In effetti leggo un po' di tutto, almeno dieci libri all'anno.
 
Perché è nata la sua opera?
Vivere delle storie e non poterle raccontare è come viverle a metà. Quando si arriva ad una certa età, e hai ormai più passato che futuro, raccontare diventa naturale. Una volta la funzione degli anziani era quella di narrare per tramandare, insegnare, intrattenere. Oggi c'è troppo rumore e poco tempo. I nonni non raccontano più nulla, fanno i baby sitter. In questo senso i miei scritti vogliono parlare della vita, dei sentimenti, dell'amore.
 
Quanto ha influito nella sua formazione letteraria il contesto sociale nel quale vive o ha vissuto?
Il mio è essenzialmente un contesto borghese. La figura dello zio, scrittore, poeta, astrologo, cultore della lingua siciliana, è stata senza dubbio di grande influenza nella mia infanzia e giovinezza. I pomeriggi d'estate a organizzare le vite dei Santi, a trovare gli errori ortografici e sintattici nei suoi scritti, o a leggere e ordinare le sue poesie, in italiano e in siciliano. Con lui direi: "u carbuni s'un tince, mascarìa" (il carbone se non tinge, sporca).
 
Scrivere è una evasione dalla realtà o un modo per raccontare la realtà?
L'ho già detto. Scrivere è narrare, raccontare la realtà che, sorprendentemente, va' sempre oltre ogni più creativa fantasia. Chi evade dalla realtà è chi legge, chi ascolta, coloro che, temporaneamente, pospongono la loro realtà a vantaggio delle storie altrui.
 
Quanto di lei c’è in ciò che ha scritto?
Molto. Il racconto, romanzato per ovvie ragioni di privacy, si muove tra accadimenti, sentimenti e personaggi reali che vivono il loro tempo, sotto lo sguardo attento del narratore, interprete in prima persona.
 
C’è qualcuno che si è rivelato fondamentale per la stesura della sua opera?
Sinceramente no. Anzi credo che le verità dei sentimenti narrati, benché trascorsi, siano scomodi per molti.
 
A chi ha fatto leggere per primo il romanzo?
Una persona speciale. Da buon figlio unico mi sono eletto un fratello putativo. Mio cognato, architetto come me, col quale ho un'affinità elettiva che travalica qualsiasi rapporto parenterale o di conoscenza. Una persona che stimo sommamente, e che mi ha spinto a cercare la pubblicazione del mio lavoro.
 
Secondo lei il futuro della scrittura è l’ebook?
Sono sempre stato un fautore della tecnologia. Ho iniziato ad usare i computer quando ancora ci si entrava fisicamente dentro. Nella pratica professionale e nell'insegnamento li ho utilizzati massivamente e con profitto e le frontiere dello smart working mi hanno visto come un fautore più che attuatore. L'eBook consente usi sconosciuti grazie al suo essere virtuale. Ma, come per i dischi in vinile, il libro nella sua forma cartacea possiede un carisma lontano dall'essere soppiantato.
 
Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
In un'epoca di massima integrazione ed attenzione per tutti gli individui, l'audio libro ha una sua ragion d'essere, e non solo per gli ipovedenti. Può infatti divenire mezzo d'intrattenimento qualificato, al pari della radio o della musica, essendo le parole stesse musica, se accortamente scelte ed accostate. Ed oggi la rete è un'occasione democraticamente valida per la sua diffusione.

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