Nato ad Angri il 27 febbraio del 1973, ottavo figlio di una famiglia numerosa, Mario Longobardi si laurea in Lettere Moderne all'Università degli Studi di Salerno e, successivamente, trasferitosi a Trieste, inizia ad insegnare Lettere a Gorizia. Amante della lettura degli autori dei secoli a cavallo dell'anno zero, come Aristofane e Socrate, sviluppa una passione innata per il teatro e la scrittura, tanto da diventare comico, cabarettista e autore di saggi, testi teatrali e canzoni (la sua prima all'età di 11 anni).
148 pagine, una realtà parallela suggestiva e paurosa allo stesso tempo, dove l'illogicità, le esagerazioni e le contraddizioni regnano sovrane. Tre storie diverse, legate dalla rottura tra significante e significato, tra ciò che viene detto e ciò che viene fatto, per esprimere il disagio sociale che ci contorna e la voce interna dell'autore, che vuole rappresentare una società che consuma se stessa e si consuma, che potrebbe raccontare molto ma non racconta, perdendosi i contenuti all'interno del mezzo di comunicazione. È quello che accade ai personaggi, in cui il conflitto nasce dall'interno per arrivare a scoppiare nelle relazioni con gli altri.
In "La vera storia di Giocondo", il militare Giocondo si mette in discussione decidendo di svelare a tutti un segreto di Stato, ma i suoi colleghi e i suoi amici cercano di dissuaderlo dal farlo, finché lui non finisce per essere identificato come un oratore di piazza, un simil profeta dei tempi moderni, che si muove tra quelli che definisce "morti viventi".
In "Fior di Rosa", due ragazzi mettono in scena il loro amore reale, non ben visto dalla società e soprattutto dalle reciproche famiglie, nella rappresentazione di "Romeo e Giulietta" di Shakespeare. In un susseguirsi di scene, recitazioni e incontri segreti, il loro sentimento uscirà allo scoperto, permettendo all'istinto di superare la ragione.