La solitudine è solo uno dei fantasmi contro cui deve combattere il protagonista colpevole di aver assassinato la propria ragazza, si troverà infatti ad affrontare l’ineluttabilità della morte e ad avere un confronto serrato con un Dio intermittente che è continuamente ricercato e silenziosamente disarmante. L’analisi della solitudine di Antonio Pennetta ha poi la valenza di un’osservazione su come essa riverberi nella coscienza e nella vita di un uomo che ci è costretto, di come la solitudine riesca a far vacillare le scuse che il protagonista si racconta per mitigare i sensi di colpa per ciò che ha fatto.
Antonio Pennetta nasce nel 1979 in un piccolo paese in provincia di Lecce. Il suo amore per la lettura e la scrittura lo porta a collaborare con il giornale del Liceo G.C. Vanini e con il periodico della Sinistra Giovanile del proprio paese. Ama i classici Francesi e Russi e nonostante l’antica passione per le lettere si laurea nel 2003 presso l’Università Commerciale Luigi Bocconi, diventa Responsabile di Zona di una primaria Compagnia di Assicurazioni e non abbandona mai la sua altra passione, quella viscerale che lo porta a scrivere, fra gli altri, “Il superficiale splendore del mare”.
Il libro di Antonio Pennetta ha la struttura di un lungo monologo e un precipuo carattere riflessivo. In quest’opera c’è la morte, Dio, il passato che ritorna con tutto il suo peso, il capovolgimento delle certezze, tutto un mondo che tende a comprimersi in una piccola cella, tutto un mondo che tenta di sfuggirne, tutto il mondo che si mostra con pezzettini di cielo e mare visibili ma perennemente intoccabili. Come i pensieri a volte si susseguono nella mente apparentemente senza ordine, anche i contenuti del libro paiono essere immersi in un flusso di coscienza ordinato e non lineare, seguendo un tratteggiato e lieve fil rouge. È come navigare sul filo del mare senza affondare, sulla superficie, fra i molteplici e cangianti riflessi della vita.