Così VIXI sorprende. Sorprende perché ci parla di qualcosa d’incomprensibile e criptico con semplicità, sorprende perché la “luce” che descrive ce la fa vedere, sorprende perché trattasi di un genuino parto dell’anima al quale assistiamo incuriositi e stupefatti.
Vittorio Benini sostiene di scrivere in questa maniera perché non è uno scrittore. O meglio perché non è solo uno scrittore. Non va alla ricerca dell’ispirazione, è l’ispirazione che lo trova nelle sua quotidianità e lo acceca con una suggestione oppure con una parola, con un destino, come quando, in riva al mare, trovò un ossicino di seppia con su scritto VIXI. L’ha trovato, ne ha compreso il prodigio, l’ha conservato fino a quando l’ispirazione non ha bussato alla sua porta. Solo allora è nato “VIXI – Il viaggio di un’anima”. Benini è libero di scrivere se e quando vuole e la sua scrittura trasuda di questa libertà. Dice: “La vita non è un dettato da trascrivere correttamente, ma una poesia da interpretare”, ed è una frase che racchiude un modus vivendi di chi non ha mai ricopiato troppi dettati, che vive ed ha vissuto come strumento dell’enorme miracolo che si genera fra reale e irreale, vita e sogno, luce ed ombra.