L’autore infatti è un ragazzo giovanissimo che attualmente abita e lavora a Moncalieri, la cui vita oggi scorre serena tra famiglia, amici e lavoro, eppure Youssef vive il tormento di chi sembra non appartenere a nessuno stato, nessun popolo. Lui, così giovane e pieno di forza vitale, racconta in modo esaustivo il dramma di chi ha subito sulla propria pelle la cattiveria del pregiudizio. «È strano come il razzismo sia nella mente di chi ha paura di subirlo, mio padre e mia madre avevano la consapevolezza di un’inferiorità che si erano creati da sé, noi dovevamo sempre dimostrare qualcosa in più per essere all’altezza di persone che non facevano neanche la metà di quello che eravamo costretti a fare noi».
Il lettore troverà nelle pagine di questo romanzo quel senso di vuoto che contraddistingue l’uomo déraciné, ossia quell’individuo pervaso dal senso di smarrimento scaturito dall’obbligo ad abbandonare (per le più disparate ragioni) il proprio paese natio. Quello che si legge in “Uè Africa. Diario di un marocchino” è la crisi di identità di un ragazzo che diventa uomo, di chi non si sente riconosciuto né dalla nazionalità di origine e ancora meno da quella che potremmo definire d’adozione, quella dove l’uomo si è formato, è cresciuto e in cui riconosce parte di sé.
La forma narrativa è scorrevole e le parti descrittive, in cui l’autore si esprime attraverso il racconto in forma di diario, alleggeriscono la lettura che quindi corre per tutte le pagine; il lettore, animato dall’interesse per un’esperienza di vita talvolta assai distante dalla propria, conclude la lettura di questo romanzo assai velocemente, recependo chiaramente il messaggio lanciato dall’autore: la necessità e la bellezza nel saper accogliere la diversità di ogni genere.