Il saggio si apre, perciò, con una panoramica storico-culturale molto interessante della violenza sulle donne, dove si mettono in rilievo le origini e gli sviluppi della cultura dello stupro e del predominio della cultura patriarcale, che sottomette la donna al ruolo di essere inferiore. Da qui la condanna velata anche alle religioni, che hanno contribuito a relegare il gentil sesso in una posizione subordinata per secoli, fecondando l'idea che esse siano un mero oggetto da utilizzare da parte dell'uomo a proprio piacimento.
L'autrice prosegue poi con una seconda parte in cui si focalizza principalmente sulle conseguenze psicologiche dello stupro, che arrivano a rendere la vittima colpevole. La donna si sente in pratica autrice di quanto accaduto, perché magari ha compiuto un gesto o si è vestita con abiti provocatori. L'utilizzo costante di citazioni, il ricorso a documenti e testimonianze, rende il tutto molto sentito e ancora più facilmente comprensibile, anche quando si parla dell'aspetto legislativo legato al femminicidio.
Ciò che ne emerge da "L'Apartheid di genere" è perciò un quadro brutale della società contemporanea che, ormai, giunta nel terzo millennio, non riesce a placare un fenomeno purtroppo ancora tristemente radicato sia nella cultura occidentale che in quella orientale, tanto che la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità lo ha individuato come principale causa di morte al mondo, ancor prima dell'infarto.
Dada Contesi è nata a Bologna, dove si è laureata in Filosofia. Attratta sin da subito dai libri, con l'opera "Shardana" ha ottenuto un importante riconoscimento al premio letterario Montblanc. Nel 2002 ha pubblicato la sua opera prima, "L'uomo di Ulm e il paradosso dell'orologio", un romanzo biografico. In seguito si è trasferita nel Regno unito, dove tuttora svolge attività sociali per i diritti umani.