3. Riassuma in poche parole cosa ha significato per Lei scrivere quest’opera.
Venendo da un’esperienza trentennale di stesura di sceneggiature teatrali, non ho avuto lo stesso trasporto emotivo rappresentato dalla scrittura di un copione. Impiegavo un anno, nei ritagli di tempo, a completare il testo che poi veniva condiviso e modificato con gli altri membri dello staff. Scrivevo e mi occupavo di regia in un corretto e coinvolgente spirito di collaborazione, dove il successo era rappresentato sia dall’accoglienza da parte degli attori che dagli applausi del pubblico. Alla luce di questa esperienza ho provato a diversificare, questa volta con l’obiettivo di farmi leggere. È per questo motivo che ho suddiviso l’opera in diverse sezioni, ciascuna mirata a un target diverso; lo scopo è che ogni lettore possa trovare almeno una o più storie che lo possano emotivamente coinvolgere.
4. La scelta del titolo è stata semplice o ha combattuto con se stesso per deciderlo tra varie alternative?
Il titolo mi è venuto dopo la quarta/quinta storia. Era troppo naturale il riferimento a “Storie di tanti” vista la varietà di stili, di contesti, di argomenti trattati e, soprattutto, di persone coinvolte. In un tale caleidoscopio, il titolo mi è sgorgato come una certezza, senza esitazioni.
5. In un’ipotetica isola deserta, quale libro vorrebbe con sé? O quale scrittore? Perché?
M’interessano molto libri di storia e di costume. Quindi, opterei per “Mondo senza fine” di Ken Follet perché il Medioevo, con i suoi secoli di profonde trasformazioni, si presta a riflessioni sui mutamenti delle società nella Storia. Società lontane da noi che ben descrive anche Tiziano Terzani in “Un indovino mi disse”, dove si riscopre la vera Asia, non quella ufficiale, ma quella della gente comune.
6. E-book o cartaceo?
Condivido in pieno la tesi che formulò, anni addietro, Umberto Eco secondo la quale i libri sono fatti per “essere presi in mano, anche a letto, anche in barca, anche là dove non ci sono spine elettriche, anche dove e quando qualsiasi batteria si è scaricata, possono essere sottolineati, sopportano orecchie e segnalibri, possono essere lasciati cadere per terra o abbandonati aperti sul petto o sulle ginocchia quando ci prende il sonno, stanno in tasca, si sciupano, assumono una fisionomia individuale a seconda dell'intensità e regolarità delle nostre letture…” Ma le vendite di ebook, anche se sono ancora inferiori rispetto a quelle dei libri tradizionali, sono in continua espansione, soprattutto nella fascia adolescenti/giovani. Si tratta di capire quanti anni dovranno trascorrere per misurarne il sorpasso.
7. Quando e perché ha deciso di intraprendere la carriera di scrittore?
Non ho deciso di intraprendere questa carriera che, per quanto mi riguarda, rimane ancora un hobby nell’ambito di altre attività. Non ho “l’ansia da prestazione” per dover realizzare qualcosa a tutti i costi, entro termini stabiliti. Avendo tanto materiale già pronto, o quasi, non mi rimane che adattarlo anche se la maggior parte di queste storie è scaturita da stimoli nuovi.
8. Come nasce l’idea di questo libro? Ci racconterebbe un aneddoto legato alla scrittura di questo romanzo?
Il tutto è partito dall’analisi di alcuni brani di cantautori italiani. L’idea iniziale era quella di scriverci attorno una storia inventata, mantenendo alcune frasi del testo della canzone in modo da poterla ricordare. Avevo già in mente, ma l’ho ancora ben chiara, l’idea di uno spettacolo teatrale, dove un attore racconti la mia storia e, in funzione della canzone, un musicista suoni il ritornello con uno strumento diverso di volta in volta (tastiera, chitarra, fisarmonica, violino … ecc.). L’ipotesi di uno spettacolo ha generato un libro.
9. Cosa si prova a vedere il proprio lavoro prendere corpo e diventare un libro?
È sicuramente piacevole, dal punto di vista emozionale, vedere, toccare e sfogliare un qualcosa creato da te. Come ho già detto, è un’esperienza che ho già vissuto con i copioni teatrali con un’unica e sostanziale differenza: il libro, nel mio caso, ha un maggior potenziale di papabili lettori i quali, a differenza di una rappresentazione teatrale che, pur con le sue repliche, è sempre legata a un calendario, lo possono acquistare quando credono e non essere legati a date fisse.
10. Chi è stata la prima persona che ha letto il suo libro?
Vista la struttura del libro, suddiviso in brevi racconti, non ho avuto un’unica persona di riferimento perché, in funzione di quello che andavo a raccontare, individuavo un ristretto gruppo di lettori/lettrici per un commento strutturale iniziale a “caldo”. Terminata la scrittura del tutto, ho fatto leggere il libro ad altre persone che si sono trovate per la prima volta a dover commentare e correggere un testo di cui non sapevano nulla.
11. Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
Mi è capitato, recentemente, di ascoltare su Radio 3 Moni Ovadia leggere alcune pagine de "Il nome della rosa". Affascinante. Peccato che stavo guidando. Lo trovo uno dei mezzi, in questo mondo frenetico dove leggere diventa uno dei tanti optional (in ordine gerarchico forse tra gli ultimi), per diffondere la cultura del libro. L'unico dubbio che mi riguarda è quando ascoltare un audiolibro: quando si corre, con un MP3 all'orecchio, forse è meglio la musica così come in auto, quando le notizie trasmesse sono spot e senza troppa attenzione e coinvolgimento da parte del guidatore. In salotto? Ad occhi chiusi? Sdraiato su una poltrona? Fantastico! Con di fianco il libro originale nel caso non abbiamo capito alcune battute del narratore...