La paternità del testo è invece di colui che ha scelto come nome d’arte il Cigno Canoro; a profusione di una dolce melodia, così si predispone l’autore nella composizione dei suoi scritti.
Il testo in questione si articola in ben sei canti che narrano l’andare complesso di un sovrano dallo spirito generoso. Un sovrano che odia la prepotenza e la potenza esibita, seppure egli stesso sia un emblema del potere. Un giovane signore la cui esistenza, cantata in una forma epica, si avvicenda in un intrico di vicende talvolta strazianti e dolorose, ma da cui emergeranno la determinazione, la personalità e l’impegno per conquistare il grande Amore. Un amore che merita la maiuscola in virtù della purezza di sentimento, l’amore è l’ideale che muove ogni gesto del nostro eroe.
Attraverso uno stile ed un periodare non semplice, il lettore – al pari del protagonista – avanza con un incedere cadenzato dal ritmo incalzante delle parole. Il Cigno canoro fa largo uso di elisioni e troncamenti che conferiscono al testo una cadenza quasi sincopata.
Un testo singolare, dunque, per un autore nato nel 1990 ma che subisce il fascino del suo concittadino Ovidio. Sulmona, come per l’antico poeta, è anche la “patria” del Cigno Canoro; la dolce città incastonata a ridosso dei Parco Nazionale della Majella è testimone della crescita fisica e spirituale di un giovane dal temperamento romantico e malinconico. Incline alla nostalgia fino allo struggimento, il Cigno Canoro capisce in età più matura che la fonte della sua passione altro non è che la Poesia. In conclusione, Vanitas non è certo quello che può essere definito un testo per tutti: occorrono costanza e concentrazione per procedere lentamente nella lettura delle peripezie dell’eroico protagonista del libro; la fretta ostacolerebbe la giusta disposizione verso un testo la cui peculiarità è specchio della singolare personalità del suo autore.