C’è una ricetta della senatrice Saggese per far emergere, tra quelle italiane, le imprese del Sud?
Una ricetta non c’è. Ci sono però tante cose che si possono fare per favorire la rinascita delle imprese italiane, non solo del sud. Voi siete un esempio di quello che al sud può accadere. Siete un esempio di Sud che funziona e che ce la fa, al di là di quello che si dice. Ma ci sono anche altre realtà, in questo nostro sud, che hanno successo. Il sud può farcela quando c’è la capacità imprenditoriale. Poi le istituzioni devono creare le condizioni per far sì che le imprese possano esserci.
Il suo impegno sul territorio si concretizza anche attraverso momenti come questo, cioè attraverso il contatto con le imprese. È ancora possibile oggi fare impresa al sud? È una sfida possibile? Perché crederci?
È una sfida più che possibile. Io, come voi, ci credo. Voi ci credete e sicuramente siete l’elemento che fa sì che anche gli altri ci debbano credere. È bellissimo venire qui e trovare tanti ragazzi sotto i quarant’anni, che lavorano, che si impegnano. Ci sono spazi per chi è capace di innovare, di puntare sulla ricerca, di individuare nuovi bisogni, e spesso anche di stimolarli.
Ci vuole più coraggio a restare che a partire?
Certo, per investire qui ci vuole coraggio. Tutti noi che viviamo nei paesini dell’entroterra lo sappiamo bene. Innanzi tutto c’è un problema di accesso a questi luoghi. Non è facile arrivare qui su, non è facile essere competitivi secondo i metodi tradizionali. Sia perché il sistema generale di tassazione non aiuta la vita nei piccoli comuni, sia perché i servizi non sono adeguati rispetto alle esigenze. Oggi chi investe qui va davvero apprezzato, e andrebbe sostenuto di più dallo stato. L’Italia è bella, e la sua bellezza risiede anche nei piccoli comuni. Non dobbiamo disperdere questo patrimonio di conoscenza e di diversità – perché Milano e Napoli non hanno le stesse esigenze di un paesino. La rete dei piccoli comuni rappresenta, per me, un valore per la nostra Italia. Sono la bellezza della nostra Italia, e quindi le persone che vivono in queste zone vanno aiutate a rimanere qui. Dobbiamo fare uno sforzo perché davvero ci siano le stesse possibilità su tutto il territorio italiano.
Per quanto riguarda la nostra provincia, l’aeroporto di Salerno può rappresentare un elemento fondamentale per lo sviluppo delle nostre aree. Ci vogliono due ore per arrivare da Napoli alle coste del Cilento. Salerno sarebbe uno scalo intermedio, anche rispetto alla Penisola Sorrentina. Consentirebbe di intercettare utenti e favorire lo sviluppo imprenditoriale della zona sud della provincia. Io mi sto impegnando molto, e ci credo. Purtroppo sono venti anni che se ne parla, ma adesso siamo a un punto determinante. La regione Campania ha stanziato le risorse per l’allungamento della pista, e il Ministero delle Infrastrutture ha inserito l’aeroporto di Salerno tra gli aeroporti strategici nel piano nazionale aeroportuale. La Campania avrà Napoli e Salerno. È una possibilità enorme, e dobbiamo insistere su questa infrastruttura: è il momento.
Prima abbiamo parlato di edilizia in crisi, perché l’economia non gira come una volta. Si sente tanto parlare di crescita, si spera in una nuova crescita. Ma come si può coniugare la tutela dell’ambiente e del territorio con la crescita e lo sviluppo?
Stiamo insistendo sul concetto di sviluppo sostenibile ormai da tempo. Non è immaginabile che ci sua una crescita a danno dell’ambiente. Soprattutto nelle nostre zone, credo che l’ambiente sia uno degli elementi su cui dobbiamo puntare per lo sviluppo. La settimana scorsa abbiamo presentato alla camera un disegno di legge sull’uso del suolo e la tutela del paesaggio. Per me è quanto mai necessario – e la Campania più delle altre regioni lo dimostra – un intervento legislativo che disciplini l’utilizzo del suolo. Da una parte abbiamo le vicende della Terra dei Fuochi, e sappiamo quale danno abbia arrecato, dall’altra parte abbiamo la Costiera Amalfitana, che è il territorio a più alto rischio idrogeologico d’Europa, e lì è necessaria assolutamente un’attività di prevenzione. Faccio un mea culpa come membro della classe politica: la spesa in prevenzione non si vede, e quindi non porta voti. Sarebbe opportuno, anzi necessario, intervenire prima anziché dopo, sia per un’esigenza di tutela della salute e di salvaguardia dell’ambiente, sia perché anche dal punto di vista economico costa decisamente di più intervenire dopo che gli eventi si sono verificati.
È per questo che abbiamo insistito per presentare questo disegno di legge. I primi due firmatari sono il Presidente della Commissione Ambiente del Senato, e il Capogruppo Pd della Commissione Agricoltura. Perché l’agricoltura è un altro dei temi strettamente connessi alla tutela alimentare. Oggi il marchio made in Italy, il food italiano, è uno di quei settori che ci permette di essere in attivo. Dobbiamo continuare a puntare sulla qualità del nostro prodotto. Per far questo abbiamo necessità di una norma che salvaguardi il suolo, e che quindi consenta di lavorare in un ambiente di qualità.
Come si possono proteggere i prodotti italiani, pensando anche alle tante contraffazioni che si verificano sul mercato internazionale?
Stiamo tentando di costruire un marchio di difesa del prodotto italiano. Per il momento, in via sperimentale, opereremo sui prodotti dop e Igp. Vogliamo un marchio che difenda e identifichi chiaramente i nostri prodotti. Si vedono spesso prodotti che utilizzano i nostri colori e evocano l’Italia, pur non avendo nulla d’italiano. È il fenomeno dell’italian sounding, e per noi è un grave danno. Dunque bisogna difendersi non solo dalla contraffazione, ma anche da questa situazione più sfumata.
In commissione europea è già stata approvata una norma che permette al governo italiano di intervenire per eliminare dal mercato prodotti che evocano italianità, senza avere nulla a che fare con il nostro Paese.
La burocrazia, lenta e farragginosa, spesso è di ostacolo alle imprese. Quanta attenzione c’è in Parlamento rispetto a questo tema?
C’è molta attenzione al riguardo, e lo dico in qualità di componente della Commissione Bicamerale per la Semplificazione. Alla luce di quanto accaduto su Expo e sulle vicende di appalti e corruzione, per me è fondamentale questo aspetto di semplificazione. Lo dico da tempo: le norme devono essere poche e chiare. Là dove le norme sono tante e si sovrappongono, dando spazio all’interpretazione, c’è maggiore possibilità di chiedere la tangente. È lì che si annida la corruzione, che fa ostacolo alla piccola e media impresa. Semplificare è un mestiere non facile, ma è una sfida che bisogna raccogliere e portare avanti.
L’informatizzazione può aiutare in questo senso? Sia per la semplificazione che per la trasparenza?
Certo, moltissimo. L’obiettivo è la trasparenza, e internet è la direzione da prendere: occorre che la documentazione sia facilmente consultabile online. La possibilità di sbrigare pratiche online anziché recarsi di persona negli uffici, rappresenterebbe per le imprese un grande passo avanti, soprattutto per quelle lontane dai grandi centri.
Da donna prima e da senatrice poi, quanto sono importanti le donne lavoratrici per il nostro sistema economico, e quanto e come andrebbero tutelate?
Credo che più donne in politica, nelle istituzioni, nel mondo economico e professionale in genere, aiuterebbero la società a vivere meglio. Siamo diverse, e ognuno può portare il proprio contributo, il proprio modo di vedere il mondo, e quindi migliorare la società. Le difficoltà sono tante, soprattutto al sud. Laddove i servizi sociali non sono sufficienti, le donne devono sopperire a tutte le attività di assistenza. È un lavoro che viene caricato essenzialmente su di loro. Dal punto di vista legislativo, dovremmo migliorare la compatibilità fra lavoro e cura della casa e della famiglia.
Si sta lavorando in questo senso, e il Job Act introduce flessibilità positiva.
In qualità di membro nella IX Commissione Permanente Agricoltura e Produzione Agroalimentare, come si sta vivendo negli ambienti politici il dramma della Terra dei Fuochi, simbolo più eclatante di tante emergenze presenti sul territorio?
È difficile far credere ai miei colleghi che la Campania non è solo la Terra dei Fuochi. C’è un pregiudizio, una resistenza, dovuto non a un loro limite o a una negatività dei nostri confronti, ma semplicemente al fatto che la stampa ci dipinge così. È difficile far passare l’idea che la Campania è anche altro, che gli imprenditori campani sanno fare impresa e la sanno fare bene. Nel caso della mozzarella di bufala, per esempio, a causa di due o tre imprenditori scorretti, è stato messo alla gogna un intero settore.
La Terra dei Fuochi è un problema molto serio. Il governo Letta ha dato un primo segnale importantissimo, cioè intervenire con una legge per analizzare e mappare i suoli a rischio, e soprattutto per cercare di bonificare ed evitare ulteriori danni.
Sappiamo che è molto attiva sul web. Quanto è importante avere un filo diretto con i cittadini, dentro e fuori la Rete?
È importantissimo, e me ne rendo conto ogni giorno di più. È un’attività che richiede competenze, perché la comunicazione è una scienza e non ci si può improvvisare. È necessario innanzi tutto avere un contenuto, ma c’è bisogno anche di qualcuno che ti aiuti ad esternarlo. Il cittadino vuole informarsi, pone delle domande. Ritengo che sia corretto e che sia una forma di rispetto nei confronti di chi ti ha sostenuto e votato informarlo su ciò che stai facendo. L’interazione che si genera è per me un arricchimento, una possibilità di riflettere e migliorarmi.