A intervistarlo è la giornalista Paola Trinca Tornidor. Paolo Tolu precisa subito che «il romanzo è autobiografico. Ho dovuto inventare l’incontro di un uomo con una donna Giulia; la storia nasce proprio dal racconto che l’uomo fa a questa donna. Racconta di questo bambino, pastore, lasciato nel deserto delle montagne a pascolare».
“Rivendita n° 5” parla di povertà, ma in un’accezione completamente diversa rispetto alle difficoltà economiche odierne. «La povertà è legata alla dignità di ogni persona. Negli anni del Dopoguerra la povertà era il segno tangibile di una rivendicazione, di una rinascita del paese. La gente aveva la speranza di continuare a vivere, crescere, trovare un mondo migliore, trovare un posto di lavoro, sfamare i propri figli. Questa era la grande determinazione che aveva portato questo bambino pastore a diventare finalmente grande».
Molto è cambiato nella vita di quel bambino che portava le greggi sugli aridi monti Crobu e Sergiu, annotando i propri ricordi. «Nella povertà e nella solitudine, scriveva sui quaderni o su pezzi di carta ocra da macellaio recuperata dai rifiuti. Da lì cominciarono le prime bozze dei suoi romanzi».
Ma il bambino riesce a riscattarsi, a cambiare la propria vita, a migliorarsi. Lavora, incontra l’arte, la pittura, la scrittura. Diventa una persona migliore. «Nonostante tutto – non so per quale ragione, forse per la mano di Dio – il bambino ha avuto la fortuna di lavorare come famiglio presso una caserma di polizia di Cagliari. Era una specie di factotum. Lì riuscì a ritagliarsi un ruolo preciso, e a guadagnare 30 mila lire al mese. Mandando 15 mila lire a casa, la sua famiglia riusciva a sfamare gli altri sei fratelli».
Tutto questo è “Rivendita n° 5”, la storia di Paolo, il bambino pastore che sognava tra i monti della Sardegna.