Riccardo Di Raimondo, 91 anni, siciliano, è uno dei pochi superstiti italiani della spedizione italiana in Russia durante la Seconda Guerra Mondiale. A distanza di 70 anni, ha scritto il libro “La ritirata in Russia. Dal fiume Don a Varsavia (1942-43)" (Book Sprint Edizioni) per raccontare i cinque mesi - dal dicembre 1942 ad aprile 1943 - vissuti tra neve e gelo, immortalati con una macchina fotografica nascosta tra due bombe a mano. Un inferno bianco, tra morti, fughe disperate, mancanza di cibo, brandelli di amore, nostalgia per l’Italia».
Nell’intervista, firmata da Nicola Sellitti, Di Raimondo racconta quel terribile inverno. «Noi, grappoli umani in fuga con i soldati russi che ci sparavano alle spalle. […] In una circostanza dei soldati volevano farmi cadere: io ero aggrappato al retro e li minacciai con una bomba a mano, via io, tutti morti. […] Mai avrei potuto immaginare tutto questo». Ma anche in quel viaggio senza speranza, c’è ancora spazio per l’umanità: «Non dimenticherò mai la coppia di anziani che salvarono la vita a me e un altro soldato della mia divisione che stava morendo per polmonite. Ci preparavano da mangiare, ci coprivano e piangevano. In lacrime per i propri ragazzi».
Poi il ritorno in patria, in un’Italia devastata, e i lunghi anni di oblio. Ma sua nipote, Liliana, chiede al nonno di tornare in quelle distese bianche, e raccontare. «Piangevo mentre scrivevo, rivivendo il dolore di quell’inferno». Sotto la neve e i campi di papaveri, i suoi compagni lo ringraziano.
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