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03 Mag
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Intervista all'autore - Pellegrino Graziano -

Che cos’è per Lei scrivere, quali emozioni prova?
Scrivere, per me, è un atto di verità. È il momento in cui le voci interiori prendono forma e trovano uno spazio dove poter essere ascoltate.
Ogni parola che metto sulla pagina è un tentativo di afferrare qualcosa che altrimenti sfuggirebbe: un’emozione, un ricordo, un’immagine, una domanda senza risposta. Provo un misto di trepidazione e sollievo, come se stessi aprendo una porta verso luoghi dimenticati, miei e non solo miei. Scrivere è anche un modo per dare voce a ciò che resta nascosto nel quotidiano, e che nei racconti trova finalmente la possibilità di essere rivelato.
 
Quanto della sua vita reale è presente in questo libro?
Molto e poco allo stesso tempo. I racconti non sono autobiografici in senso stretto, ma portano con sé frammenti della mia esperienza, emozioni vissute, domande che mi accompagnano da sempre. Ogni personaggio, ogni situazione, è attraversata da qualcosa che conosco intimamente, anche se trasfigurato dalla scrittura. È come se la vita reale si travestisse per entrare nella finzione, e in quel travestimento rivelasse qualcosa di ancora più autentico. Scrivendo, ho capito che spesso la verità si lascia raccontare meglio attraverso l’invenzione.
 
Riassuma in poche parole cosa ha significato per Lei scrivere quest’opera.
Scrivere Il giardino delle verità perduta ha rappresentato per me un viaggio intimo e profondo, alla ricerca di ciò che nel tempo si è smarrito: emozioni sopite, pensieri taciuti, ricordi sfocati. È stato come entrare in un giardino segreto, dove ogni racconto è un sentiero che conduce a una verità dimenticata o ignorata, ma ancora viva nel cuore. Ho scritto per ritrovare, per ritessere legami interiori e per offrire al lettore uno spazio in cui riconoscersi. È stato un gesto di cura, verso me stesso e verso ciò che spesso resta invisibile.
 
La scelta del titolo è stata semplice o ha combattuto con sé stesso per deciderlo tra varie alternative?
La scelta del titolo non è stata immediata, ma nemmeno un vero combattimento. È arrivata dopo aver scritto l’ultima parola, quasi come se fosse sempre stato lì, in attesa. Ho valutato altre possibilità, ma Il giardino delle verità perduta era quello che più rispecchiava l’anima del libro: un luogo simbolico, fatto di silenzi, intuizioni e verità che si rivelano solo a chi ha il coraggio di cercarle. Quando l’ho pronunciato ad alta voce, ho sentito che era quello giusto. Nessun altro avrebbe potuto raccontare meglio il senso di questi racconti.
 
In un’ipotetica isola deserta, quale libro vorrebbe con sé? O quale scrittore? Perché?
Su un’isola deserta vorrei portare con me Cent’anni di solitudine o L' Amore ai tempi del colera di Gabriel García Márquez. È un libro-mondo, capace di contenere dentro di sé l’intero spettro dell’esistenza umana: amore, morte, memoria, follia, sogno. Ogni volta che lo leggo mi sembra di scoprirvi qualcosa di nuovo, come se cambiasse insieme a me. Ma sarei tentato anche da Hermann Hesse, per la sua spiritualità inquieta, o da Italo Svevo, con la sua lucidità ironica e moderna. In fondo, scegliere un solo autore è come scegliere una sola voce tra le tante che ci abitano — impossibile, ma affascinante.
 
Ebook o cartaceo?
Amo il profumo della carta, il gesto di voltare pagina, la fisicità del libro cartaceo: è un’esperienza sensoriale e intima che l’ebook non può offrire. Ma riconosco l’utilità del digitale, soprattutto in viaggio o per avere sempre con sé molti titoli. Se devo scegliere, però, resto affezionato al libro di carta: è come avere accanto una presenza viva, concreta, che lascia tracce del tempo e delle letture fatte.
 
Quando e perché ha deciso di intraprendere la carriera di scrittore?
Scrivere non è stata una decisione improvvisa, ma un’urgenza che si è fatta strada nel tempo. Fin da giovane ho sentito il bisogno di dare forma ai pensieri che affollavano la mente, spesso in modo disordinato, caotico, come flussi di coscienza che scorrevano senza chiedere permesso. Non cercavo una "carriera", cercavo uno spazio dove poter essere autentico. Col tempo, ho capito che la scrittura era il mio modo di ascoltare quel flusso interiore e trasformarlo in racconto. Scrivere è diventato il mio modo di capire, di fermare l’inafferrabile, di dare voce a ciò che normalmente resta nell’ombra. Solo dopo, quasi per caso, è nato il desiderio di condividere tutto questo con gli altri.
 
Come nasce l’idea di questo libro? Ci racconterebbe un aneddoto legato alla scrittura di questo romanzo?
L’idea di Il giardino delle verità perduta è nata in silenzio, quasi per accumulo: piccoli appunti, riflessioni, immagini che tornavano a galla nei momenti più inattesi. Non è stato un lampo improvviso, ma una voce sommessa che ha continuato a parlarmi finché non ho deciso di ascoltarla davvero. Ogni racconto è nato da una domanda che non trovava pace, da un dettaglio reale che mi ha colpita o da un'emozione rimasta sospesa.
Ricordo un aneddoto in particolare: stavo camminando in un parco, assorta nei pensieri, quando ho sentito due persone discutere sottovoce su un segreto mai rivelato. Non conoscevo la loro storia, ma quella frase rubata ha acceso qualcosa — l’idea che ognuno di noi custodisca verità che non riesce o non osa dire. Da lì è nato uno dei racconti, e forse l’intero spirito del libro.
 
Cosa si prova a vedere il proprio lavoro prendere corpo e diventare un libro?
Vedere il proprio lavoro prendere corpo e diventare un libro è un’emozione difficile da descrivere: è un po’ come vedere materializzarsi qualcosa che prima esisteva solo dentro di te, nei pensieri, nei sogni, nei silenzi. Quando ho tenuto il libro tra le mani per la prima volta, ho sentito una commozione profonda, come se quelle pagine racchiudessero non solo parole, ma tempo, attese, dubbi, e soprattutto verità vissute. È un momento in cui la scrittura smette di essere solo tua e inizia a vivere negli occhi degli altri — ed è lì che, in un certo senso, nasce davvero.
 
Chi è stata la prima persona che ha letto il suo libro?
La prima persona a leggere il mio libro è stata una cara amica, una donna di profonda spiritualità con cui condivido da anni un percorso di consapevolezza attraverso le costellazioni familiari. Gira l’Europa per il suo lavoro, ma ha trovato il tempo e lo spazio per immergersi nei miei racconti con un’attenzione e una sensibilità rare. Mi ha detto che Il giardino delle verità perduta merita una diffusione capillare in Italia e in Europa, perché tocca corde universali.
Ricordo con particolare emozione le sue parole dopo aver letto L’isola:
"Non ho mai letto una descrizione della nascita, della separazione dalla madre ecc…come tu, con questo racconto pieno di significati delle varie tappe emotive della vita di OGNI essere umano, hai poeticamente descritto. Ognuno di noi, guardando nella propria profondità, si sente totalmente coinvolto in questi processi di crescita leggendo le tue parole, ma non solo; anche una persona non introspettiva e staccata dalle proprie memorie riesce, grazie alla grazia che immetti nelle tue parole, a tornare a sentire, probabilmente anche riconnettendosi al proprio dolore. Come un'isola separata dal continente, ritornare a riconnettersi a sé stesso e alle proprie origini. Riesci a toccare anche le corde più profonde dell’essere. Grazie per la condivisione."
E ancora, dopo la lettura de Il fiume, il pescatore, il mare, ha scritto:
"Questo racconto è semplicemente meraviglioso. È poesia, è ritmo, è corpo, è visione, è il ciclo del vivere. La libertà è quando il cuore si apre e può lasciar andare: solo allora anche il fiume può diventare mare. E il pescatore può tornare al silenzio, senza più aspettare, né temere. Grazie per aver dato parole a questa verità."
Le sue parole non sono solo un riscontro affettuoso: sono uno specchio di ciò che speravo di comunicare con la scrittura. E per questo gliene sarò sempre grato.
 
Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
Credo che l’audiolibro rappresenti una bellissima nuova frontiera del raccontare. Restituisce alla parola scritta la sua dimensione più antica: quella orale, quella del racconto che si ascolta, che passa da una voce a un orecchio, da un cuore a un altro. È uno strumento che può avvicinare alla lettura anche chi ha poco tempo, chi ha difficoltà visive o semplicemente chi ama immergersi nelle storie mentre cammina, guida, viaggia. Certo, l’esperienza è diversa rispetto al libro cartaceo, ma non meno profonda: a volte una voce ben scelta può amplificare la potenza emotiva del testo. Penso che le due forme possano convivere, arricchendosi a vicenda.

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