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07 Mag
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Intervista all'autore - Daniela Calvaruso -

Che cos’è per Lei scrivere, quali emozioni prova?
Scrivere mi permette di liberarmi, di svuotare il mio io da ansie e preoccupazioni.
Non solo, mi permette anche di fissare emozioni e momenti che potrebbero essere dimenticati e che invece, nell'immediatezza della scrittura possono conservare intatta la bellezza dei dettagli anche nel tempo, dando a me stessa, ma anche, a chi legge, l'opportunità, di riflessioni utili per superare la frenesia di questa società, in cui lo spazio all'introspezione, all'importanza del pensiero, talvolta passa in secondo piano.
La scrittura quindi, come utile mezzo per mantenere la propria originalità, in un mondo in cui ogni giorno l'appiattimento degli individui sembra essere sempre più in agguato e sempre meno lo spazio per il ragionamento.
 
Quanto della sua vita reale è presente in questo libro?
Il mio libro è chiaramente autobiografico. Partendo da un dolore personale: la perdita di mio marito, dopo una vita passata insieme e dopo 4 lunghi anni e mezzo di dura malattia, le pagine, ne seguono lo sviluppo, nella speranza di metabolizzare lo stesso e di trovare un modo per avviare il lutto stesso verso un percorso di accettazione purtroppo, non sempre facile da seguire.
Ci si confronta con una nuova vita, fatta di persone, andate, naturalmente, via con lo scomparso. Si vive con la solitudine che inevitabilmente diventa protagonista e che bisogna avere la forza di combattere, in un momento, in cui evidentemente, viene meno anche la volontà di combattere. Si scopre di non essere più se stessi, di aver perduto, con la persona amata, anche la propria identità, perché il NOI in cui ci si identificava, nell'esistenza di un saldo rapporto di coppia, improvvisamente diventa IO, con tutte le conseguenze di una fragilità da risolvere per andare avanti.
 
Riassuma in poche parole cosa ha significato per Lei scrivere quest’opera.
Indubbiamente è stato determinante per l'elaborazione del lutto. Ogni giorno ho avuto con me, sempre disponibile, in ogni momento del giorno e della notte, senza la paura di elemosinare conforto o suscitare compassione, un valido aiuto, pronto a starmi vicino, ad accompagnarmi nel dolore, per cercare, non sfuggendolo, ma entrandoci in intima connessione, mentre sembrava che il
baratro della sofferenza volesse inghiottirmi, per cercare, appunto, uno spiraglio di fuga ad una situazione in cui pare, non esserci scampo.
Spero anche che il mio percorso possa risultare utile, nei modi e nei loro tempi, a quanti pensano di non farcela, a quanti di fronte ad un grande dolore, guardandosi attorno, si scoprono soli ed incapaci di andare avanti.
Non ho la presunzione di aver trovato un modo di sfuggire al dramma del dolore, ma mi auguro almeno, una piccola possibilità, tra le tante, di iniziare un percorso che accompagnandoci, passo dopo passo, ci porti a scoprire, dentro di noi, la forza per superare la tragedia di un addio, cercando una chiave di lettura che ci conduca all'idea che chi non c'è più, ha completato il suo percorso accanto a noi ed è entrato a far parte del Tutto, un concetto complesso, non di facile comprensione per noi, qui sulla terra, ancorati come siamo alla materialità delle cose e delle persone.
 
La scelta del titolo è stata semplice o ha combattuto con sé stessa per deciderlo tra varie alternative?
Dopo aver scartato quella iniziale del nome di colui al quale è dedicato, ho quasi subito optato per un titolo che mi rassicurava e poteva comunicare anche a chi lo avrebbe letto, un messaggio sulla continuità dell'amore, possibile e vivo anche, una volta conclusa la comunicazione tra due persone, nello spazio della vita. Una comunicazione che continua ad essere attiva, sebbene solo racchiusa nella dimensione del pensiero di chi rimane e, forse, di chi ha dovuto lasciarci.
Inoltre il titolo: "L'AMORE NON MUORE", mi ha subito conquistata, sia dal punto di vista del contenuto, che del suono: confortante, dolce, pieno di aspettative e certezze per chiunque si trovi nella situazione di dover attraversare la catastrofe dell'abbandono.
 
In un’ipotetica isola deserta, quale libro vorrebbe con sé? O quale scrittore? Perché?
In un'isola deserta porterei senza dubbio, il mio diario, quello iniziato più di 10 anni fa, perché nell'attesa e nei tempi sconosciuti del rientro alla normalità, mi farebbe compagnia la sua lettura, animata da episodi e persone che, in esso presenti, mi hanno accompagnato ed aiutato nel percorso della mia vita, aiutandomi nella convinzione che il condizionale passato("l'avrei potuto", "l'avrei dovuto", per intenderci), a proposito della vita, può solo angosciarci ancora di più, mentre rileggere e ricordare quanto ci è successo, senza pensare che avremmo potuto fare o vivere le cose diversamente, ci offre la serenità e ci predispone, con animo più leggero, verso quanto ci deve ancora accadere.
 
Ebook o cartaceo?
Leggere un libro cartaceo ha il suo fascino, perché è impagabile: appuntare con la matita, qualcosa di interessante da rivedere; magari scorrere le dita su quella dedica tutta per te, oppure semplicemente tenerlo nella tua libreria, sapendo che c'è e che potresti farlo tuo senza bisogno di accendere un portatile.
Leggere un libro è la prima cosa che abbiamo fatto da bambini, senza contare la seduzione del profumo della carta, inspiegabile, eppure reale per molti.
Personalmente non ho ancora letto un ebook, ma so che è un nuovo modo di lettura, pratico, sicuramente non tradizionale, molto amato soprattutto dalle nuove generazioni. Preferisco la versione cartacea di un libro, ma non disdegno l'idea di avvicinarmi anche alla soluzione dell'ebook, magari anche per comprendere meglio le possibilità che esso offre.
 
Quando e perché ha deciso di intraprendere la carriera di scrittrice?
Non ho avuto altre esperienze. Questo è il mio primo libro e già, definirmi scrittore mi pare avventato, soprattutto se quanto scritto è nato con l'idea di scrivere di episodi personali per ricordarli oppure semplicemente per aiutarmi ad elaborare la complessità di certi momenti vissuti. Tuttavia, l'idea di fare del mio diario un libro è nata con l'ipotesi, che il mio percorso potesse ritornare in qualche modo utile ad altri e che quello che per me è stato naturale, in altri potesse aver bisogno di uno spunto per venir fuori: una sorta di apertura verso una lettura diversa circa i drammi della propria vita, soprattutto nell'assenza di persone pronte a starci vicini o semplicemente perché, in un certo momento della vita, la nostra chiusura è così totale che è impossibile per altri riuscire a comunicare con noi. Analizzando, giorno per giorno, soffermandoci sulle persone o sugli accadimenti, con le nostre parole pensate e tradotte in scrittura, possiamo trovare in noi stessi la chiave per continuare a vivere, anche quando il quadro nel quale ci troviamo sembrerebbe non offrirci spiraglio alcuno.
 
Come nasce l’idea di questo libro? Ci racconterebbe un aneddoto legato alla scrittura di questo romanzo?
Questo libro inizialmente non ha un'idea.: è una successione di semplici pensieri, di ricordi, di emozioni legate dal filo conduttore dell'amore, in nome del quale, ho pensato, naturalmente, potesse, con i diversi capitoli che sono quelli dei primi 8 mesi di sofferenza, accompagnare me, in primis e il lettore poi, nel percorso del dramma dell'abbandono, intravedendo tuttavia, sempre, lo spiraglio di una luce in fondo.
 
Cosa si prova a vedere il proprio lavoro prendere corpo e diventare un libro?
Già leggere le impressioni del correttore di bozze mi ha emozionato, perché sintetizzavano esattamente quanto volevo trasparisse dal mio libro. Pensare di vedere il proprio lavoro prendere corpo mi ha emozionato ancor più e soprattutto mi ha convinto, di aver fatto bene ad insistere per farlo diventare un libro, perché con esso, mentre ho onorato la memoria di mio marito e del nostro grande amore, mentre mi sono fatta forza giorno per giorno da sola per andare avanti, ho mandato un messaggio sull'indissolubilità di certi amori, sulla bellezza di certe unioni e sulla possibilità di aiutare altri nel processo di elaborazione del lutto.
 
Chi è stata la prima persona che ha letto il suo libro?
La prima persona è stato il correttore di bozze. Temevo, ma non troppo... di ricevere critiche negative che mi impedissero la pubblicazione, così ho tenuto per me l'intero lavoro, salvo, di tanto in tanto, postare, qualche pensiero e qualche poesia, sul mio profilo FB, per mantenere viva la memoria di mio marito tra quanti lo hanno conosciuto, nel nome dell'amore, vivo, sempre e comunque...
 
Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
Mi incuriosisce molto e credo che, se realizzata con professionalità, sia un altro modo di avvicinare alla "lettura".

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