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04 Set
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Intervista all'autore - Nicola Feruglio

1. Ci parli un po' di Lei, della Sua vita. Da dove viene? Come e quando ha deciso di diventare scrittore?

Sono nato a Como nel 1972, città nella quale ho vissuto fino al 1977. Poi per vent'anni dal 1977 al 1997 ho vissuto e studiato a Monfalcone in Friuli Venezia Giulia. Per altri vent'anni poi ho vissuto a Roma, dove nel 2007 ho ideato e fondato l’associazione Antropologia Terzo Millennio. Se dovessi individuare un elemento che ha segnato la mia storia e la mia scelta di scrivere, indicherei proprio la città di Como. Un luogo legato irrazionalmente alle ragioni seminali delle mie scelte etiche e narrative. Una città della quale non dimenticherò mai i colori e i nostalgici scenari liquido-eterici: Villa Olmo ed il suo monumentale albero dinnanzi alla quale sono nato, il Tempio Voltiano con il suo stile filo-palladiano, Monte Olimpino (Mundrumpin), il misterioso Lariosauro e la lieve collina che scendeva dinnanzi alla mia casa d’infanzia a Maslianico. Tutte reminiscenze che hanno avuto un ruolo nel corso della stesura del saggio filosofico “Cosmoempatia”. Como è una città satura di storia romana, il cui nome evoca per affinità semantica il kómos, personificazione demonica dei cortei dionisiaci; città che secondo gli storici antichi fu fondata dagli Orobi, misterioso popolo preromano di origine greca, citato da Plinio il Vecchio. Sulla fondazione di Como aleggiano anche intriganti leggende come quella secondo la quale, dopo la caduta di Troia, sarebbe stato il troiano Antenore a fondare sia Padova che Como… Una città che mi sento di definire “quantica”, come Roma e Buenos Aires.



2. Nell’arco della giornata qual è il momento che dedica alla scrittura?

Scrivo ovunque e in ogni momento, ma la notte e la solitudine sono alleate particolarmente benevoli, perché in grado di intensificare gli echi psichici di tutte le impressioni vissute durante il giorno.



3. Il suo autore contemporaneo preferito?

Io sono oggi un gran lettore di Jung, di Eliade e di Samael Aun Weor, ma l’autore che in passato ho preferito è Allen Ginsberg (Newark, 3 giugno 1926 – New York, 5 aprile 1997), l’autore di “Urlo” (Howl), poema del 1956 pubblicato in Italia nel 1965 da Mondadori, all'interno della raccolta "Jukebox all'Idrogeno", tradotto da Fernanda Pivano. Credo che la poesia di Ginsberg sia stata per me quasi psicoanalitica, perché mi ha concesso di contemplare e sublimare in termini mistici, l’irrazionale dissolutezza, la negatività egoica e l’auto-distruttività che ogni uomo reprime nel suo inconscio e che prima o poi dovrà affrontare.



4. Perché è nata la sua opera?

Perché, nonostante io viva nell’epoca post-ideologica del tecno-totalitarismo, della guerra globale, delle catastrofi migratorie, del collasso planetario, del capitalismo virtuale e della disumanizzazione dei rapporti umani, ritengo ancora che il fenomeno psico-sociale dell’Empatia sia il fine ultimo della storia!



5. Quanto ha influito nella sua formazione letteraria il contesto sociale nel quale vive o ha vissuto?

Molto! Nel novembre del 1989 come studente ho assistito televisivamente ad eventi come il crollo del Muro di Berlino, la fucilazione di Nicolae Ceaușescu e le proteste di Piazza Tienanmen… ho respirato l'implosione ideologica ed etica nella quale la civiltà moderna precipitava e precipita sempre più velocemente, cristallizzando quell’“Uomo a una dimensione” teorizzato tanto acutamente dal filosofo tedesco Marcuse. L’uomo ridotto alla mera identità di consumatore di merci. Anche per questi motivi ho iniziato una personale ed extra-scolastica ricerca antropologico-gnostica, ispirata dalla necessità di ripensare ad un nuovo umanesimo su base empatico-sacrificale...



6. Scrivere è una evasione dalla realtà o un modo per raccontare la realtà?

Credo che le parole che scrivo, non mi servano né per evadere, né per descrivere la realtà, ma per completarla! Le parole scritte o pronunciate coscientemente sostanziano e completano l’impressione che ho di vivere. Come se ogni parola serva a far collassare quantisticamente in una forma sonora e compiuta, quel groviglio ancora inespresso e potenziale di sensazioni, percezioni, emozioni, sentimenti, pensieri e volontà… Le parole disegnano la realtà.



7. Quanto di lei c’è in ciò che ha scritto?

Chi scrive, nonostante si occupi di buchi neri o di Ermeneutica, di Paleontologia o dei Legami di van der Waals, scrive sempre e comunque di sé. Victor Hugo definì uno scrittore come “un mondo intrappolato in una persona”, ritengo sia quindi impossibile non dare voce al mondo intrappolato dentro di noi. In questo saggio “Cosmoempatia”, vi sono due capitoli fortemente autobiografici, il quarto: “L’espansione della coscienza empatica e l’archetipo del Padre-Madre”, ed il quinto: “Empatia per un mentore: Gigi The Genius Ronchetti”, ma credo di poter affermare che anche quando un autore sembra occuparsi d’altro, si occupi in realtà di cose recondite che lo riguardano.



8. C’è qualcuno che si è rilevato fondamentale per la stesura della sua opera?

Tutti! Anzitutto coloro che vivendo ed agendo attorno a me, anche se indirettamente ed inconsapevolmente, hanno concorso nel caratterizzare "l’impressione cosmoempatica" della mia esistenza.



9. A chi ha fatto leggere per primo il romanzo?

Prima di sottoporre i miei libri al mio consulente letterario e di seguito alle case editrici, è mia consuetudine farli leggere a mia moglie Annarita. Ella conoscendo me, possiede una misura di giudizio aureo riguardo ogni mia opera.



10. Secondo lei il futuro della scrittura è l’e-book?

Il futuro della scrittura io credo sarà “cartaceo” ed amplificato certamente dall'e-book. Immagino tuttavia che, anche coloro che usufruiranno del teletrasporto extra-planetario e coordineranno supporti tecnologici attraverso impulsi sinaptici, desidereranno avere tra le mani un libro cartaceo.



11. Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?

La prospettiva sonora di un libro può renderlo ancora più rilevante, ma dipende sempre dalla rilevanza del testo scritto.

 


 

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