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01 Giu
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Intervista all'autore - Massimo Bua

1. Ci parli un po' di Lei, della Sua vita. Da dove viene? Come e quando ha deciso di diventare scrittore?

Sono Massimo un ragazzo di 31 anni che abita a Piossasco un paese in provincia di Torino. I miei genitori sono originari del sud, mio padre è della Sardegna, mia mamma originaria dell’Abruzzo. Caratterialmente devo dire che da mia mamma ho preso la tenacia e la forza di lottare, mentre da mio padre la timidezza e la testardaggine; quindi anche se di fatto sono una persona molto chiusa e riservata, mantengo al contempo una grande forza di volontà rispetto alle difficoltà della vita. Nella mia vita ho dovuto superare grandi difficoltà già da subito, perché nasco prematuro con una paralisi celebrale infantile a cui sono seguiti una serie di interventi correttivi, perché la parte più colpita nel mio caso specifico sono state le gambe e in modo pervasivo tutta la zona celebrale del movimento.

Oltre a questo poi ho avuto delle complicazioni alla vista a causa di un distacco bilaterale della retina dell’occhio destro e successivamente anche della retina dell’ occhio sinistro e nonostante i vari interventi chirurgici subiti sono rimasto ipovedente con un residuo visivo basso. Le varie vicissitudini e le difficoltà che ho incontrato nel mio cammino mi hanno portato a sviluppare negl’anni un carattere diffidente chiuso e riservato rispetto al mondo esterno, anche se poi quando prendo confidenza con chi ho di fronte riesco ad essere anche simpatico e a volte autoironico. L’attività di scrittore è nata intorno agli 8 anni quando ho sentito la necessità di trasmettere agli altri le sensazioni e le emozioni che provavo, non riuscendo spesso a comunicarle con la parola, perché appunto a volte troppo timido e riservato. Ho iniziato a scrivere le prime poesie nel 1993 e a quei tempi la mia maestra delle elementari, rimase così colpita dalle mie poesie che creò dei cartelloni con scritte le poesie che appese ai muri dell’ambulatorio dove andavo a fare fisioterapia e chiunque passava si fermava a leggerle e a guardare i miei disegni. Da lì in poi non ho mai smesso di scrivere anche se poi con gl’anni ho sempre tenuta nascosta questa mia passione a quasi tutti fino al 2015, quando il giorno del mio trentesimo compleanno, ho comunicato ad amici e parenti che stavo per pubblicare un libro di poesie e in quel frangente molti di loro sono rimasti sorpresi perché non sapevano di questa mia passione.



2. Nell’arco della giornata qual è il momento che dedica alla scrittura?

Non esiste un momento preciso in cui scrivo, di solito, non è mai lo stesso. Dipende dai momenti liberi della giornata e dall’ispirazione del momento. In passato, il momento in cui scrivevo meglio ed ero più a mio agio era la sera tardi e a volte anche di notte, quando non riuscivo a dormire. Ultimamente invece scrivo la mattina, quando non lavoro, e nel pomeriggio se ho qualche ora libera, anche se il miglior momento per scrivere rimane sempre e comunque la notte quando si spengono i rumori e c’è più spazio, nel silenzio, per ascoltare noi stessi.



3. Perché è nata la sua opera?

La mia opera è nata per caso, nel senso che non ho mai scritto con l’obbiettivo di pubblicare qualcosa, perché io essendo molto timido e riservato ed essendo le poesie qualcosa di molto intimo e personale, non ho mai avuto l’intenzione di farne un libro. Quindi il tutto è nato per caso quando al termine del mio percorso personale di psicoterapia ripercorrendo tutte le tappe della mia vita mi sono accorto che avevo del materiale sufficiente per poter scrivere un libro e raccontare alcuni momenti della mia vita. il tutto comunque è nato dall’esigenza personale di trasmettere e in un certo senso trasferire dal corpo alla carta, per mezzo della poesia, l’emotività che mi ha sempre caratterizzato e che nei momenti difficili e a volte drammatici dell’ esistenza non mi ha mai abbandonato. Crescendo ho avvertito, di tanto in tanto, il bisogno di liberarmi dal bagaglio emotivo che mi portavo dietro e ho utilizzato la scrittura seppur in modo simbolico come sfogo terapeutico. Successivamente, nel 2014, ho deciso di raccogliere in un libro tutte le poesie che avevo scritto negl’anni e di portarle fuori dal mio intimo per comunicare agli altri il mio disagio e condividere con le persone quella parte di me che ho sempre tenuto nascosta perché abituato a mostrare solo la parte migliore di me, quella più positiva, come a voler comunicare che c’è anche dell’altro di cui non si parla mai che è quella parte più scomoda di noi che è comunque una parte importante e con cui è giusto prima o poi fare i conti e confrontarsi.



4. Quanto ha influito nella sua formazione letteraria il contesto sociale nel quale vive o ha vissuto?

Credo che il contesto sociale nel quale ho sempre vissuto sia stato fondamentale per il mio approccio alla scrittura in quanto nella mia famiglia di origine siamo tre fratelli e due sorelle, quindi di per se una famiglia numerosa che con il tempo e, con l’arrivo dei vari cognati e dei nipoti, è diventata ancora più numerosa, una famiglia numerosa con origini del sud, quindi puoi immaginare quando siamo tutti assieme e nelle varie domeniche in famiglia e nelle varie feste di compleanno e cerimonie l’allegria che si vive. E nel caos quotidiano della vita in generale tra le varie discussioni e i discorsi che si fanno spesso diventava difficile per me, essendo molto chiuso e sensibile, ritagliarmi uno spazio mio che poi ho trovato nella scrittura che è il mezzo comunicativo in cui mi esprimo meglio, rispetto alla parola.



5. Scrivere è una evasione dalla realtà o un modo per raccontare la realtà?

Per me scrivere è entrambe le cose e un tentativo di evadere momentaneamente dalla realtà raccontandola e un momento solo mio in cui mi confronto con me stesso e cerco di raccontare a mio modo attraverso i miei occhi e la mia pancia per mezzo di una penna e un foglio, come percepisco la realtà che mi circonda e ciò che questa realtà mi provoca in termini di vibrazioni ed emozioni.



6. Quanto di lei c’è in ciò che ha scritto?

In ciò che ho scritto c’è molto di me, in quanto in questo piccolo libro racconto vent’ anni della mia vita in poesia, per questo ho deciso di utilizzare nel titolo gli aggettivi “mie” poesie e “miei” vent’anni, perché appunto riguarda una parte mia della mia vita.



7. A chi ha fatto leggere per primo il romanzo?

La prima persona a leggere la bozza del libro è stato il mio psicologo perché, dopo essermi sottoposto ad un lungo percorso di psicoterapia a seguito di un periodo di forte stress, pensai che fosse una delle uniche persone che avrebbero potuto comprendere il messaggio che volevo comunicare attraverso le poesie che a volte sono un po’ criptiche e a tratti machiavelliche, insomma non di facile lettura come in fondo sono io, apparentemente semplice ma in fondo molto complicato e a tratti drammatico.



8. Cosa si prova a vedere il proprio lavoro prendere corpo e diventare un libro?

È una bella sensazione, perché ti rendi conto di aver creato qualcosa da un insieme di momenti tuoi non troppo felici, e che quest’ insieme di momenti sono diventati un libro. E come cedere un pezzo di te al mondo e come mettere al mondo un figlio, un figlio di vent’anni, un figlio un po’ ribelle e scomodo che mi somiglia per certi versi, ma che poi ha un carattere suo, una sua peculiarità, portatore di un messaggio che dividerà le coscienze tra chi lo accetterà e chi no, ad alcuni potrà piacere ad altri no e che avrà il suo percorso di vita, che vada come vada, si spera il più luminoso e longevo possibile. Certo non è stato semplice, spesso ho pensato durante il periodo della correzione della bozza di non pubblicarlo più, perché avvertivo il peso della responsabilità, ho avuto molti dubbi e anche un certo pudore nel chiedere agli altri il parere su ciò che avevo scritto, pensavo di aver scritto troppo di me e che attraverso questo libro io mi fossi scoperto troppo, reso troppo vulnerabile e per questo motivo ho avuto bisogno di prendere un po’ le distanze dal libro ci sono voluti quasi due anni di tempo per osservarlo con occhio critico e un po’ distaccato. Poi alla fine ho pensato al mio sogno nel cassetto che è sempre stato quello di scrivere un libro che raccontasse di me e ho deciso di continuare in questo progetto che spero mi porterà tante cose positive.



9. Quale messaggio vuole inviare al lettore?

Al lettore vorrei inviare il messaggio che non bisogna essere superficiali nel giudicare il prossimo ma si deve cercare di andare sempre oltre le apparenze e che soprattutto bisogna avere rispetto degli altri, ma soprattutto penso che sia un grande errore quello che molti fanno di paragonare le sofferenze e decidere che uno a più diritto di un altro di lamentarsi rispetto alle cose che non vanno della propria vita. Io credo che non serve fare paragoni, perché la sofferenza è personale e di solito non dipende da quante cose uno possiede nella vita o da quanti pezzi del corpo ti mancano o non funzionano; la sofferenza è sofferenza. E va rispettata in quanto tale. Al mondo c’è chi a tutto e soffre molto e chi non ha niente ed è la persona più felice della terra, perché appunto dipende da come stiamo dentro non da quante cose possediamo fuori; fosse per me dispenserei pastiglie di amore disinteressato e tolleranza a tutti gli esseri umani perché la cosa che manca di più oggi e ascoltare e donare amore al prossimo e hai più bisognosi. Per quanto riguarda la disabilità in generale oggi si è portati a giudicare ciò che appare del disabile e nella società odierna secondo me la tv strumentalizza la figura del disabile portandola agli estremi opposti, all’eccesso, quasi sempre vedo in tv persone nate o diventate disabili con gravi e grandi limitazioni che fanno delle cose estreme e spesso passa il messaggio che tutti possiamo fare tutto e che dipende solo ed esclusivamente dalla volontà della persona disabile di far fronte in modo eroico alle avversità della vita .E di conseguenza tutte le persone disabili che hanno “apparentemente” meno difficoltà non hanno il diritto di lamentarsi perché ce chi sta molto peggio e “apparentemente” reagisce in modi spettacolarmente positivi. Io non credo sia solo cosi, credo che ci siano queste persone, ma ci sono moltissimi disabili che sono o si sentono soli ed emarginati dalla società vivono isolati , come fossero agli arresti domiciliari che incontrano grandi difficoltà nello svolgere le azioni quotidiane anche le più semplici e che fuori di casa sono limitati da un infinità di barriere architettoniche che rendono a volte molto complicato per loro rapportarsi con il mondo esterno, perché spesso mancano di aiuti da parte dello stato e i comuni dei piccoli paesi mancano di servizi di integrazione e/o volontariato con personale qualificato che permetta alla persona in difficoltà di crearsi una rete sociale valida per sentirsi protetto e al sicuro anche fuori di casa e dall’ambiente familiare, spesso viene consigliato al disabile di frequentare posti dove ci sono solo disabili perché si pensa che in quel modo il disabile possa sentirsi più capito, io personalmente ho sempre odiato i posti dove si viene ghettizzati per categoria e forse per quello tutti i miei tentativi di partecipare a luoghi solo per disabili o centri diurni per disabili e sempre fallito , spesso veniamo spinti e spronati a fare sport perché quello e l’unico luogo in cui veniamo riconosciuti alla pari dei normodotati e ci sentiamo parte integrante di qualcosa, ma chi come me, per esempio, odia fare sport o non può farlo è destinato alla solitudine a vita. Di questo di solito non si parla perché e meno spettacolare che vedere uno in carrozzina che fa il triplo giro della morte. Questo libro e dedicato principalmente a tutti coloro i quali a discapito dei “super disabili” della tv si sentono più vulnerabili e fragili coloro per i quali l’essere disabili comporta una grande dose di stress e fatica e Il mio messaggio per loro è comunque di avere speranza per il futuro di non mollare mai, e che anche se ci si sente soli e disperati, la vita può sorprenderci in modo meraviglioso sempre e in qualunque momento.



10. Che libro consiglierebbe di leggere ad un adolescente?

Un libro che consiglierei ad un adolescente è il gabbiano Jonathan Livingston, che fu un libro che mi colpi molto nell’adolescenza, quando lo lessi, perché racchiude in se il significato della vita e quanto questo dono che ci ha fatto Dio sia prezioso e inestimabile se vissuto pienamente fino alla fine. Lo consiglio anche rispetto ai vari fatti di cronaca sui suicidi giovanili a causa del bullismo troppi ragazzi oggi si tolgono la vita perché non vedono una soluzione al problema non riescono a immaginarsi un futuro diverso dal loro presente; ed è proprio consigliando questo libro che vorrei dire ai giovani di non mollare mai di tenere duro perché anche se è difficile la vita può sempre sorprenderti e migliorare all’improvviso e non dobbiamo essere noi a privarci di questa opportunità.



11. Secondo lei il futuro della scrittura è l’e-book?

Sinceramente non lo so. Per quanto riguarda me io sono ancora affezionato al cartaceo al fatto di avere l’oggetto fisico di carta da sfogliare con una bella copertina colorata e un segnalibro. A me piace avere sul mio scaffale tutti i libri che hanno fatto parte della mia vita e vederli li che mi guardano, come fossero dei vecchi amici con cui ho passato il mio tempo libero. Diciamo che l’ e- book è uno strumento utile per tutte quelle persone come me ( ma non solo) che hanno un residuo visivo basso e che possono ingrandire i caratteri e non affaticare troppo la vista grazie allo schermo retroilluminato, poi permette di risparmiare spazio e di avere tanti libri in modo compatto e pratico, io comunque finche mi sarà possibile, vista permettendo, continuerò ad acquistare il caro vecchio libro di carta.



12. Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?

Penso sia una valida opportunità per coloro che non possono leggere, ma non solo anche per chi preferisce ascoltare un racconto, in fondo una volta, mia madre ogni tanto mi racconta, che quando non esisteva la tv, per radio, venivano trasmesse a puntate tramite voce narrante, quelle che potevano essere considerate le antenate delle moderne fiction televisive e le persone si riunivano attorno alla radio per ascoltare questi racconti. In fondo l’audiolibro più che “nuova frontiera” e un ritorno al passato. 

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Venerdì, 09 Giugno 2017 | di @BookSprint Edizioni

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