2. Nell’arco della giornata qual è il momento che dedica alla scrittura?
Normalmente scrivo durante la giornata, quando mi sento ispirata da una necessità interiore che va soddisfatta. Certo, durante l'anno scolastico, devo conciliare gli impegni ma mi è capitato anche di precipitarmi al computer a scuola durante le ore libere. Dovevo farlo. Ma le illuminazioni, perché tali sono, improvvise e determinanti, mi si affacciano alla mente di notte, durante gli ormai frequenti periodi di insonnia. Del resto succedeva anche con i copioni teatrali: solo di notte un'idea prendeva forma e diventava immagine, passaggio fondamentale per poter visualizzare la parola e trasformarla in azione scenica. Perciò sostengo che nel buio i personaggi mi parlano e io li ascolto. Quando uno di loro dimostra di avere una storia vera da raccontare, mi dedico solo a lui.
3. Il suo autore contemporaneo preferito?
Sono parecchi gli autori contemporanei che ammiro e stranamente sono quasi tutte donne. Trovo che negli ultimi anni la scrittura al femminile di un certo livello sia uscita dai soliti cliché e abbia saputo reinventarsi: potrei citare Gioconda Belli, Carolina De Robertis, Clara Sanchez, Margaret Mazzantini, Charlotte Link. Ma sopra ogni altra Oriana Fallaci. Lei è eterna, al di là di ogni polemica ed esasperazione che hanno circondato i suoi testi dopo l'11 settembre. L'ostracismo di cui è stata fatta oggetto dimentica che è stata l'autrice di capolavori come "Lettera ad un bambino mai nato" e "Un uomo". Si cambia invecchiando ma non ci si trasforma in mostri privi di anima.
4. Perché è nata la sua opera?
Come ho già detto, scrivere è un dono e i doni non si sprecano. Si coltivano con costanza ed umiltà. Immaginatevi un'anima imprigionata dentro consuetudini, convenzioni, tabù che trova, miracolosamente, un'apertura attraverso la quale vede tanta luce quanta è necessaria per esprimersi e, in questo modo, curarsi. È un lusso di pochi potersi curare l'anima. Ed io ho afferrato al volo questa possibilità, rendendomi ben conto che non avrei potuto farlo prima, tredici anni fa, perché il mio mondo era stabile, sotto controllo ed io vivevo e basta. La felicità si assapora, il dolore lo si mastica fin nelle ultime briciole. Ed io ho cosparso i miei romanzi di frammenti di sofferenza personale, senza vittimismi inutili ma sdrammatizzandoli o con l'arma dell'ironia o con la forza del mistero.
5. Quanto ha influito nella sua formazione letteraria il contesto sociale nel quale vive o ha vissuto?
Insegnare italiano e dirigere un laboratorio teatrale equivalgono in piccolo ad essere figlia d'arte. Quindi è indubbio che l'ambiente in cui ho vissuto ed il modo in cui mi aggiorno costantemente sono la base da cui è maturata, in tarda età, la necessità di scrivere. Però esistono migliaia di miei colleghi che non lo fanno. Perciò bisogna esservi predisposti. Il bello è che io pensavo di non esserlo: ho sempre adorato la parola in tutti i suoi aspetti, anche per la bellezza musicale che produce quando la leggi, ma ho sempre pensato di non avere fantasia. Invece ero solo bloccata dalla normalità di una vita felice. Quando il mio fragile castello di carte è crollato, ho scoperto di aver molto da raccontare e le parole sono venute da sé.
6. Scrivere è una evasione dalla realtà o un modo per raccontare la realtà?
Scrivere è un modo per raccontare la realtà evadendo da essa attraverso il filtro dei personaggi. Infatti scrivere un libro realmente autobiografico è l'impresa più catartica ma più difficile di tutte. Significa spogliarsi integralmente davanti al lettore che se ne accorge, in genere, e volta la testa per non vedere la tua nudità. Invece, con l'aiuto dei personaggi, il compito è più facile: ciascuno di loro contiene una parte del vissuto di chi scrive, delle sue emozioni, dei suoi sentimenti, delle sue capacità relazionali con il prossimo, della sua visione del mondo. Niente è più vero di un'invenzione narrativa. Lo scrittore non è altro che un bugiardo sincero.
7. Quanto di lei c’è in ciò che ha scritto?
In ciò che scrivo non posso non inserire la mia personalità. Sarebbe inutile, crudele e disumano. Ma è un processo che va centellinato. Per esperienza personale, ho compreso che non si può aggredire il lettore con troppe verità. Lo si spaventa quando lui vuole essere rassicurato. Ora, anche se il mio scopo non è illudere nessuno, non è nemmeno quello di traumatizzarlo. Piuttosto preferisco indurlo a sentire la vita, a pensarci su, a mettersi in crisi e, quindi, in gioco. Mi piace pensare, come diceva quel genio di Pirandello, che il "gioco delle parti" ad un certo punto può, per un evento banale, finire e allora devi aver previsto un'alternativa. O finisci per impazzire e isolarti dal mondo.
8. C’è qualcuno che si è rilevato fondamentale per la stesura della sua opera?
Certo. C'è mio figlio. È un essere su cui scriverei un romanzo a sé. È uno psichiatra che non si limita alla parte clinica ma ricerca continuamente nuove soluzioni per patologie di cui si ignoravano le cause o l'esistenza fino a pochi anni fa e ne discute con me. Inoltre è un buon lettore di thriller e un critico implacabile. Senza di lui non sarei qui a completare questa intervista. Gli debbo tantissimo in termini di aiuto psicologico e fiducia nelle mie capacità. Del resto, se ad un bimbo di quattro anni racconti la "Gerusalemme liberata" e l'"Orlando furioso", o ne fai un visionario o ne fai un appassionato di letteratura. A me è andata bene.
9. A chi ha fatto leggere per primo il romanzo?
Ovviamente a lui. È stato il mio primo editor ed il romanzo è cambiato parecchio grazie ai suoi suggerimenti: ha preso corpo, è diventato più credibile. Soprattutto è uscito dal cassetto nel quale era stato confinato per parecchio tempo ed è stato sottoposto al vaglio di una casa editrice, passo che da sola non avrei mai intrapreso. È stata una decisione difficile quella di farlo pubblicare ma adesso sono contenta di aver dato retta alle sue insistenze. Capisco che erano fondate e ben intenzionate.
10. Secondo lei il futuro della scrittura è l’e-book?
Credo di sì. E lo dico con tanto rimpianto per il libro cartaceo che è tutta un'altra faccenda: con un libro ci fai l'amore. Lo stringi tra le braccia, lo accarezzi, diventa parte di te, l'altra metà della tua mela. Ma, come tutto ciò che ha a che fare con la materialità, ha un suo peso e volume. Ed è soggetto al deterioramento del tempo. Anche lui invecchia, si sfalda per la fragilità delle sue pagine, per l'inconsistenza dell'inchiostro con cui è stampato. L'e-book ti frastorna con la quantità di libri che puoi caricarci, tutti accatastati senza un ordine che in qualche modo rappresenti davvero i tuoi gusti di lettore, ma ti permette di accostarti alla parola con maggiore leggerezza. È dura, non si perde nei meandri del tempo. Perciò è giusto che esista e si sviluppi.
11. Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
La trovo interessante e non potrebbe essere diverso per una persona che ha fatto della parola parlata la sua passione principale. Sicuramente stimola i miei neuroni e mi suscita emozioni più potenti di un e-book. Tuttavia, per il momento, trovo che abbia un ambito commerciale molto ristretto, limitato a coloro che hanno difficoltà a leggere. Al contrario, dovrebbe diventare una reale alternativa e, forse, sarebbe possibile se, invece di essere semplicemente letto, anche da una bella voce, fosse recitato da più voci. Allora si trasformerebbe in una sorta di teatro portatile e potrebbe attirare maggiormente l'interesse di un pubblico che ama ancora lo spettacolo ma fisicamente ama sempre meno spostarsi da casa propria. Del resto un film visto al cinema è stato sostituito ampiamente da un DVD: allo stesso modo di uno spettacolo teatrale si potrebbe essere altrettanto godere attraverso un audio book, come un concerto dal vivo si ascolta volentieri anche sul proprio divano, al buio, grazie ad un CD di qualità.