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06 Nov
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Intervista all'autore - Saverio Terranova

1. Che cos’è per Lei scrivere, quali emozioni prova?

Scrivere è come parlare. Parla chi ha qualcosa da dire: qualcosa che è dentro di te e spinge per essere portata agli altri. La differenza è che quando uno parla guarda l'uditorio e lo domina col potere della parola; mentre quando scrive non vede l'uditorio, cioè il pubblico che legge, ed è questo che domina lui, perché lo scritto è lontano da lui, in possesso del lettore, quasi non più suo. E' l'emozione che gli hanno procurato i suoi personaggi, in particolare, i protagonisti a spingere per esternare questi sentimenti. Non si possono tenere dentro. Sono essi che spingono alla scrittura e poi, alla pubblicazione.



2. Quanto della sua vita reale è presente in questo libro?

Molto. La città dove avvengono i fatti narrati, Modica, ha una lunga storia: capitale di un feudo in cui il conte esercitò per lungo tempo un'egemonia su gran parte della Sicilia fino a divenirne, in certo momento, il più autorevole e riconosciuto signore di Palermo e quindi, capo della resistenza alla invasione aragonese del 1392. Nel 1806, aboliti i feudi, divenne capoluogo della circoscrizione e, poi, capoluogo della sottoprefettura di Siracusa. Nel 1926 i fascismo la privò di questo diritto per nominare capoluogo della provincia, esattamente uguale alla contea, una città fascista, Ragusa. In dieci anni trentamila persone emigrarono verso il capoluogo privando Modica del ceto medio impiegatizio fornito di un redito e di una cultura che davano reddito e cultura alla città. Divenne uno dei centri più poveri d'Italia. Alla fine degli anni '50 un gruppo di giovani nullatenenti, salvo la loro cultura e la parola, tentò con successo l'ascesa al potere della città, escludendone i ricchi. Io ho fatto parte di quei giovani.



3. Riassuma in poche parole cosa ha significato per Lei scrivere quest’opera.

Nel 1963 ho vissuto personalmente la tragedia che colpì una delle famiglie di più antica nobiltà. Era la terza delle sventure che, direttamente o indirettamente, si abbatterono su di essa. Questo nel momento in cui la classe dei "cavalieri", come venivano chiamati allora in città, veniva scalzata dalla classe dei poveri. Conoscevo Marco, il giovane che moriva in un improbabile incidente stradale, personalmente, ma la profonda emozione che colpì la città fu quello che mi impressionò, se possibile, più dello stesso incidente. Il popolo sentenziò: lei se lo è chiamato. Lei era la moglie, morta di cancro due anni prima, a 29 anni. Quella emozione, mia e del popolo, non ho potuto cancellarla.



4. La scelta del titolo è stata semplice o ha combattuto con se stesso per deciderlo tra varie alternative?

Il titolo è venuto da sé. Direi che prima ho scritto il titolo il quale ha trascinato il resto del romanzo. D'altronde la notte nera è quella di Milena, delle altre giovani vittime di un destino crudele e irrazionale, ma è anche la notte oscura della politica che, ad un certo momento, imbarbarisce uomini e vicende creando l'oscurità nella vita civile.



5. In un’ipotetica isola deserta, quale libro vorrebbe con sé? O quale scrittore? Perché?

"L'idiota" di Dostoievski. So perfettamente che tra i capolavori di Dostoievski il lavoro assoluto è "I fratelli Karamazov". Ma L'idiota ha un fascino particolare: è il principe che lo emana; ma sono anche due figure femminili che se lo contendono: Aglaia e Nastasia Filippovna. Diverse, in certo senso opposte, ma esprimono un mondo femminile straordinario e affascinante. Lo scrittore? Senza dubbio Umberto Eco. Straordinario nella sua cultura, brillante nel comunicarla, credo sia unico in tutti gli spetti che ne fanno uno scrittore di fama internazionale. Stare giorno con lui è come ascoltare le lezioni alla Università che non fa più.



6. Ebook o cartaceo?

Cartaceo. Ma non si ferma il progresso.



7. Quando e perché ha deciso di intraprendere la carriera di scrittore?

Non sono un romanziere. Ho scritto molti libri di storia politica ed economica: La Pira e Mattei nella politica italiana, L'area di libero scambio, Storia economica della provincia di Ragusa e molti altri. Ho voluto scrivere questo romanzo per narrare un momento di grande interesse sociale e politico collegato alla tragedia di ragazzi innocenti e di famiglie vittime di un fato inconscio.



8. Come nasce l’idea di questo libro? Ci racconterebbe un aneddoto legato alla scrittura di questo romanzo?

Nel 2003 fui chiamato dal padre di Marco, il protagonista del romanzo. Era il quarantesimo anniversario della morte del figlio. Mi pregò di narrare quella tragica vicenda che coinvolse il giovane, sua moglie e il giovane amatissimo zio a Roma. Mi narrò la storia della famiglia, che io registrai. Da allora pensai sempre a scrivere questo libro, ma non mi decidevo mai. Ma quando l'avvocato morì il figlio Lorenzo mi disse che il padre gli aveva parlato della mia promessa. Mi sentii in colpa. Nel cinquantesimo anniversario della tragica morte, ho mantenuto l'impegno. Un aneddoto. Dopo qualche tempo mi telefona una signora: "Mirella e Giulia, le due donne romane, sono personaggi veri o inventati?" "Signora, tutti i personaggi sono veri e falsi allo stesso tempo". "Ma come è possibile?" " È la natura stessa del romanzo storico: D'Artagnan fu un personaggio storico ma non fu quello narrato da Dumas" restò delusa.



9. Cosa si prova a vedere il proprio lavoro prendere corpo e diventare un libro?

Credo niente di più che attendere quanti lo leggeranno.



10. Chi è stata la prima persona che ha letto il suo libro?

Una mia amica, insegnante. Ne è rimasta entusiasta, tant'è che ha scritto una recensione pubblicata su un periodico locale da titolo: Le donne nel romanzo "Una formica nera in una notte nera". Essa sostenne che nella notte buia della politica l'unica luce viene dalle donne. "Le donne amano con il loro cuore, con il loro corpo e i loro sensi. La donna è dispensatrice di gioia... A fronte di questo mondo c'è un universo maschile veramente desolante: uomini meschini, gelosi, pieni di bile, di odio, ambiziosi e rancorosi..." In realtà la donna dimentica che ci sono giovani che fanno politica solo per i loro ideali. Il senso della loro lotta è in quel discorso di Franco con Massa vanni, il quale lo aveva ammonito dal mettersi contro i signori, con un'espressione significativa:"Munnu ha statu e munnu è". Cui il giovane risponde: "Massa vanni, cerchiamo di cambiarlo questo mondo. Perché i poveracci devono restare sempre poveracci?"



11. Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?

Sicuramente interessante, utile e piacevole.  

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Giovedì, 06 Novembre 2014 | di @BookSprint Edizioni

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