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04 Giu
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Intervista all'autore - Serena Cice -

Ci parli un po' di Lei, della Sua vita. Da dove viene? Come e quando ha deciso di diventare scrittrice?
Mi chiamo Serena Cice, sono una donna che ha imparato, il valore della rinascita. La forza di rialzarsi sempre e comunque.
Vengo da un piccolo borgo in provincia di Benevento, Sant'Agata de' Goti. Ho sempre lavorato nel mondo della comunicazione visiva, come grafica pubblicitaria e di eventi e fotografa, ma dentro di me c’è sempre stato un bisogno più intimo: quello di dare voce alle emozioni.
Non ho mai “deciso” di diventare scrittrice in senso tradizionale. Scrivere, per me, è stato prima di tutto un gesto necessario. È nato nei momenti di silenzio, nei giorni difficili, quando avevo bisogno di dare un senso a ciò che stavo vivendo. Poi ho capito che quelle parole non appartenevano solo a me, ma potevano parlare anche ad altri. È così che è nato Reborn: non da un’ambizione, ma da una necessità autentica di condividere il mio percorso di rinascita.
 
Nell’arco della giornata qual è il momento che dedica alla scrittura?
Non ho un orario fisso, perché per me la scrittura è profondamente legata all’emozione del momento. Scrivo quando sento il bisogno di farlo, quando qualcosa dentro di me chiede spazio e vuole essere ascoltato. A volte accade la sera, quando tutto si calma e posso finalmente guardarmi dentro. Altre volte succede all’improvviso, magari dopo una riflessione, una passeggiata, un ricordo che riemerge.
La scrittura non è solo un’attività: è un luogo in cui mi rifugio, un dialogo silenzioso con me stessa. Quando scrivo, il tempo smette di avere un peso, e ciò che conta è solo la verità che ho bisogno di raccontare in quel momento.
 
Il suo autore contemporaneo preferito?
Non ho un solo autore preferito, ma ci sono voci contemporanee che mi hanno profondamente toccata. Apprezzo molto chi scrive con autenticità, chi riesce a trasformare la fragilità in forza narrativa. Uno dei nomi che sento più vicino è quello di Massimo Bisotti: nei suoi scritti ritrovo quella sensibilità emotiva e quella capacità di dare voce all’interiorità che mi appartiene. Ma anche Ferzan Ozpetek, Oriana Fallaci, Alessandro Baricco
 
Perché è nata la sua opera?
Reborn è nata da un’urgenza emotiva, non da un progetto premeditato. È nata nel momento in cui ho capito che avevo bisogno di mettere ordine dentro di me, di dare voce a tutto ciò che avevo vissuto e taciuto. Scrivere è stato, inizialmente, un atto terapeutico: avevo bisogno di raccogliere i pezzi, di guardarli con onestà, di capire quanto cammino avessi percorso e quanto ne avessi ancora davanti.
Poi mi sono resa conto che quel dolore trasformato in parole poteva avere un significato anche per altri. Così ho deciso di condividerlo.
Reborn non è solo il racconto della mia rinascita, ma un invito silenzioso a chi sta attraversando il buio: per dire che sì, è possibile rimettersi in piedi. E che ogni ferita può diventare il punto di partenza per una nuova vita.
 
Quanto ha influito nella sua formazione letteraria il contesto sociale nel quale vive o ha vissuto?
Il contesto in cui sono cresciuta ha avuto un ruolo importante nella mia formazione, non tanto sul piano tecnico, quanto su quello emotivo. Ho sempre sentito forte il peso delle aspettative, dei giudizi, dei ruoli imposti. Questo ha alimentato in me una profonda esigenza di espressione personale e di libertà interiore.
Vivere in una realtà dove spesso si tende a nascondere il dolore o a minimizzare la fragilità mi ha spinta, quasi per contrasto, a voler parlare proprio di quelle parti più vere e meno mostrate.
La scrittura è diventata per me una forma di resistenza, un modo per affermare che la vulnerabilità ha valore, che le emozioni vanno riconosciute e raccontate. È nel silenzio di certi contesti che ho imparato a dare voce a ciò che spesso resta non detto.
 
Scrivere è una evasione dalla realtà o un modo per raccontare la realtà?
Per me scrivere non è un’evasione, ma un ritorno. Un ritorno alla parte più autentica di me stessa.
Scrivere è il mio modo di raccontare la realtà non così com’è all’esterno, ma come la vivo dentro. È uno spazio in cui posso osservare con chiarezza ciò che a volte, nella confusione della quotidianità, non riesco a decifrare.
Non fuggo dalla realtà quando scrivo, anzi: ci entro più a fondo. La affronto, la scompongo, la guardo negli occhi. La scrittura mi permette di dare forma al dolore, di trasformare l’invisibile in parole.
È così che diventa verità, e non più soltanto ferita.
 
Quanto di lei c’è in ciò che ha scritto?
C’è tutto.
Ogni parola di Reborn nasce da un’esperienza vissuta, da un’emozione provata, da una ferita attraversata. Non ho scritto con distacco, ma con verità. Ho lasciato che le mie paure, le mie cadute e le mie rinascite prendessero voce, senza filtri.
In ogni capitolo c’è una parte di me: quella che ha tremato, quella che ha resistito, quella che ha scelto di ricominciare.
Reborn non è un racconto ispirato dalla fantasia, ma dalla vita. La mia. E per questo, è forse la cosa più vera che abbia mai scritto.
 
C’è qualcuno che si è rivelato fondamentale per la stesura della sua opera?
La persona che è stata davvero fondamentale, prima di ogni altra, sono io. Non per ego, ma per verità.
Per scrivere Reborn ho dovuto guardarmi dentro senza sconti, affrontare tutto quello che per anni avevo messo da parte. Ho dovuto essere onesta con me stessa, e questo è stato il passaggio più difficile e più necessario.
Detto questo, ci sono state anche persone che, pur senza rendersene conto, hanno avuto un ruolo importante: chi mi ha fatto crollare e chi mi ha aiutata a rialzarmi. Chi è rimasto e chi se n’è andato.
E poi c’è chi mi ha ascoltata, sostenuta, incoraggiata nel momento in cui stavo decidendo se condividere davvero tutto questo. A tutti loro va la mia gratitudine, perché in un modo o nell’altro, ognuno ha contribuito a questa rinascita.
 
A chi ha fatto leggere per primo il romanzo?
La prima persona a leggere il manoscritto sono stata io. L’ho riletto da lettrice, non più da autrice, per capire se davvero avevo avuto il coraggio di mettermi a nudo. Volevo essere certa che ogni parola fosse sincera, che rispecchiasse ciò che avevo vissuto. Poi l'ho condiviso con la mia famiglia
 
Secondo lei il futuro della scrittura è l’ebook?
Credo che l’ebook sia una risorsa importante e accessibile, soprattutto per raggiungere lettori ovunque, in modo immediato. È pratico, flessibile e risponde bene alle esigenze del mondo moderno.
Ma penso anche che la scrittura abbia un’anima che non si limita al formato. C’è chi ama sfogliare le pagine, sentire il profumo della carta, vivere il libro come un oggetto fisico e personale.
Il futuro della scrittura, secondo me, sarà fatto di coesistenza: digitale e cartaceo cammineranno insieme, offrendo a ciascun lettore il modo più adatto per connettersi con le parole.
L’essenziale resta il contenuto, l’autenticità della voce che scrive, il messaggio che arriva. Il formato è solo il mezzo, non il cuore.
 
Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
Penso che l’audiolibro sia una bellissima evoluzione del modo di fruire le storie. La voce ha un potere speciale: può trasmettere sfumature, emozioni, pause che a volte, nella lettura silenziosa, si perdono.
In un’epoca in cui il tempo sembra sfuggirci di mano, l’audiolibro permette a tante persone di riscoprire la bellezza del racconto, anche mentre si viaggia, si cammina o si vive la quotidianità.
Personalmente, trovo che ascoltare un libro letto con consapevolezza possa dare una profondità diversa all’esperienza. Non sostituisce il cartaceo o l’ebook, ma li affianca, arricchendo il modo di vivere la lettura.
È un modo nuovo, ma altrettanto valido, per entrare in connessione con le parole. E con le emozioni che portano con sé.

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