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BookSprint Edizioni Blog

16 Dic
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Intervista all'autore - Sara Luce -

Che cos’è per Lei scrivere, quali emozioni prova?
La scrittura è "la mia rappresentazione", se dovessimo rifarci a Schopenhauer.
Io vivo in virtù di essa ed in essa, respiro grazie ad essa: nella complessità del mio intelletto, 'ove tutto s'articola in maniera caotica e disordinata, io trovo ordine, conforto, in codesta ordinata realtà; l'emotività caratteristica della mia persona, lettera dopo lettera, assume una forma propria e singolare, e s'incastona ordinatamente nell'animo mio, permettendomi di assaporare ogni sensazione che, dapprima, la coscienza rifugge dal conoscere. Io provo pace scrivendo: nei miei racconti, in prosa od in poesia, rielaboro la realtà circostante dipingendola ed arricchendola dello splendore letterario di cui mi nutro.
 
Quanto della sua vita reale è presente in questo libro?
Tutto ciò che scrivo richiama alla ricerca di un'umanità a me ignota, di quegli esseri umani che si distinguono da lotte, cattiverie, ignoranza, vigliaccheria o egoismo, coloro che son Mentori di amore universale, il medesimo che ci permette di essere solidali, cordiali, empatici, comprensivi e altruisti. Così la mia realtà interiore si costruisce attorno ad una riflessione a proposito di ciò che leggo e ascolto da codesti "Mentori" di cui discorro, i quali non son mitici o eroici, né impavidi o sovrumani, ma semplicemente uomini tra gli uomini; ecco, dunque, che ogni personaggio da me costruito riprende qualcosa di essi, nei loro difetti e pregi, tra i meccanismi di difesa e la gestualità, 'ove la prossemica indica un pensiero inespresso. Quindi la vita "vera" risiede nella semplice osservazione di persone incantevoli, immensamente fragili eppur interiormente forti, che ho desiderato tradurre in Parole: gli insegnamenti a me donati da altri, sono, ora, a portata di chiunque ambisca a ricercare l'umanità perduta ai giorni nostri. Ai miei protagonisti, ma, altresì, ai personaggi secondari, si potrebbe stringere la mano; questa, però, è un'altra storia...
 
Riassuma in poche parole cosa ha significato per Lei scrivere quest’opera.
L'opera nasce da un esperimento psicologico-letterario, ossia da un profondo desiderio di concepire la mente umana, ed, in particolare, la mia: un giorno qualsiasi venni a conoscenza dell' "effetto primacy", ossia, in breve, un processo tipico della mente umana per cui l'ordine di presentazione delle informazioni date influenza notevolmente il nostro giudizio; tenderemo, infatti, ad attribuire maggiore importanza ai primi dati a discapito degli ultimi. Così ho pescato degli aggettivi, e poi ne ho invertito l'ordine: due file di caratteristiche, alias "due personaggi"; restava, ora, da riordinare il processo e catalogarlo. Ecco, dunque, che nacquero i miei protagonisti, con due caratteri completamente differenti, eppure simili... Capitolo dopo capitolo, l'effetto primacy è stato soppiantato dalla passione e dal desiderio di espressione, dall'affezione provata per la storia che si stava andando a creare, formulata da me medesima. Man mano che proseguivo, scrivendo non necessariamente in ordine, elaboravo insegnamenti di vita quotidiana o desideri così viscerali da divenire parte integrante della storia, dei personaggi o dell'ambientazione. L'opera ha assunto, poco per volta, un significato così singolare da faticare, ora, ad esplicitarlo, ma una cosa è certa: c'è un filo conduttore in tutta l'opera, e quel "filo" trasparente e tacito è una costellazione perfettamente incastonata in un universo sfaccettato in cui ogni singola stella è un bagliore unico nel suo genere derivante dai più umani da me conosciuti. Scrivere quest'opera ha significato dipingere la notte stellata, alla ricerca di quei principi etici e morali dispersi dagli uomini a cui ambiva lo stesso Van Gogh, di cui discorreva Seneca, e, in ultimo, nel tentativo di perseguire quell'amore a noi tanto lontano, il medesimo a cui fu sottratto Leopardi e che tanto pesava sulle membra dell'antica Saffo.
 
La scelta del titolo è stata semplice o ha combattuto con sé stessa per deciderlo tra varie alternative?
Il titolo "Mon Trèsor" nasce con l'opera, sicché essa si è costruita un sorso alla volta, senza che io avessi pensato a quale trama poter articolare: lei, l'opera, si è "titolata" di per sé. Questa frase, apparentemente semplice, segue la storia dai primi capitoli fino alla sua conclusione: è il cosiddetto "filo di Arianna" che permette una lettura fluida ma, al contempo, "profonda" non solo degli eventi, bensì dei personaggi, all'interno del loro oblio infinito, in cui l'anima si sprigiona tra l'emotività ed il sentimento, tra il timoroso raziocinio e palpitare del cuore.
 
In un’ipotetica isola deserta, quale libro vorrebbe con sé? O quale scrittore? Perché?
Porterei "La brevità della vita" di Seneca, autore che per anni è stato fonte di ispirazione: maestro di vita e di umana psiche, mi ha permesso di pattuire col tempo una tregua rispetto al suo veloce andazzo mentre, io, ricerco in esso l'infinito. Seneca mi riporta al presente, sebbene io continui a rammaricarmi del passato e a sperare nella luce del futuro: vivi nel presente, sussurra, il passato è immutabile, m'insegna, ed il futuro è una costruzione di ciò che ora farai. Allora, tra i mari ed il deserto vivere, troverei entro le narrazioni del filosofo la forza per andare avanti, senza demordere; ripercorrerei l'umanità al fine di non dimenticarla, sicché in quest'opera l'animo etico e morale si sprigiona. Scandaglierei i timori, giacché all'apatia, alias assenza di turbamento dell'animo, ci istruisce. Non ci penserei una volta di più: a Seneca mi sono sempre appellata e con lui vorrei cessare la mia esistenza, la medesima che le sue letture hanno arricchito e reso meno complessa.
 
Ebook o cartaceo?
L'ebook è certamente una novità: indice del progresso umano, permette di regolare la scrittura, di scegliere la luminosità e di evitare il peso dei libri nelle borse, eppure c'è una sola cosa che non può permettere... il perpetuarsi nell'infinito. Se tutta l'elettricità svanisse, mentre i dispositivi elettronici sarebbero destinati a scaricarsi, a spegnersi, e, in fine, a perire, la carta perpetuerebbe: l'inchiostro permea le pagine e l'odore lieto dei libri, materiali, sapidi di reale esistenza. Ed, ancora, ci lascia la possibilità di compiere l'eresia di scrivere i nostri pensieri all'interno o sottolineare le frasi più intense, lasciandoci trasportare dal colore da noi scelto che sfrega la pagina in un attimo di immensità: e, in fine, scegliere un luogo in cui contenere quel ricordo, tra altre decine e decine di letture, colorato essere posato sulle mensole... Come posso rinunciare a fermarmi dinanzi alla libreria ed assaporare quei ricordi carichi di vita "vera"?
 
Quando e perché ha deciso di intraprendere la carriera di scrittrice?
Avevo dodici anni: passeggiavo con Vivaldi nelle cuffie per le strade del mio piccolo e periferico paese, alle cinque del mattino; l'aria fresca mi graffiata le guance, ed io assaporavo quella sensazione di silenziosa realtà, 'ove il mondo taceva mentre l'anima mia cantava al ritmo di uno spartito a me sconosciuto, reso reale dalla meravigliosa emotività di esperti violinisti. Il mondo restava quieto, ed io, invece, urlavo ciò che non si poteva udire. Poi mi imbattei dinanzi ad una foglia autunnale: mi cadde ai piedi, sfiorandomi, dapprima, la punta del naso, e, poi, le scarpe. Si era adagiata lì: la presi tra le mani e tornai indietro. A casa, la appoggiai sulla scrivania e d'impulso scrissi una poesia, la prima ispirazione, il primo desiderio di scrivere ciò che non riuscivo a dire... Scrissi una poesia brutta e grottesca, priva di forma e di rima, "pessima", eppure "la primo genita"; di lì non mi fermai più. La scrittura divenne la mia più grande alleata: lì trovavo conforto, rielaboravo, ricercavo, mi dipingevo e ridisegnavo gli altri. Tutto il mio mondo si costruì attorno alla poesia, e, in seguito, alla prosa: da una nullità divenni "qualcosa", forse di indefinito, ma pur sempre un essere esistente e palpitante. Non desideravo essere una scrittrice, ma certamente di essere ascoltata... il mio desiderio era unicamente quello di mettere a disposizione della collettività tutto questo fervore che mi anima. Prima di essere una scrittrice sono una persona, ed in quanto tale ho il dovere di sublimare l'amore per la mia specie, laddove la solidarietà e l'empatia, l'aiuto reciproco e la nostra profonda esistenza, assumono un valore proprio e unico nel suo genere. Io so solo scrivere, e solo questo posso donare agli altri...
Il simbolo di tutto ciò è proprio quella foglia, ad oggi ancora "esistente" dietro il vetro di una cornice posata nella mia dolce ed umile dimora.
 
Come nasce l’idea di questo libro? Ci racconterebbe un aneddoto legato alla scrittura di questo romanzo?
Era un martedì mattina: la professoressa di scienze umane entrò in classe e ci fece leggere l'effetto primacy, un processo così "straordinario" da apparire quasi fittizio. Non potevo credere che fosse reale: "il giudizio umano viene davvero fuorviato dall'ordine dei dati? Impossibile!" dicevo tra me e me. Questo mio dubbio lo esternai alla mia migliore amica, Greta, che mi guardò con fare allegro e disse: "Perché non lo sperimentiamo?". Pescammo, allora, cinque aggettivi e li invertimmo. Lei mi spronò a scrivere una storia "breve"... Breve ovviamente non fu! Anzi, fu il preludio di una grande storia, una vicenda umana e viscerale.
 
Cosa si prova a vedere il proprio lavoro prendere corpo e diventare un libro?
È certamente un grande desiderio che si realizza: una gioia che mi pareva irrealizzabile ha preso forma ed ha assunto l'odore di ciò che più amo, alias quello del "libro" vero e proprio. Mi sento come se avessi dato vita ad una creatura: questa storia è l'anelito della mia anima, del vissuto mio e di altri che hanno dovuto sorbirsi la mia emotività catastrofica, ed ora sono lieta di poter condividere questo fiato, soffice e doloroso, con altri che, forse, potrebbero averne bisogno. Mi piacerebbe che i lettori si ritrovassero in ciò che ho scritto, nell'amore che ho voluto donare agli altri...
 
Chi è stata la prima persona che ha letto il suo libro?
A leggere il mio libro integralmente sono state tre persone. La primissima, che ne ha seguito la stesura capitolo per capitolo, è stata la mia migliore amica, la persona più importante della mia vita. Lei mi sostenne e mi fece rendere conto del potenziale di un'opera che io stavo scrivendo unicamente per passione. Siccome non credevo che qualche mia riflessione potesse significare "qualcosa", "qualsiasi cosa" per qualcuno, la feci leggere anche al mio migliore amico e ad un docente di lettere, mio sostenitore ed ammiratore. Il sostegno di queste tre meravigliose anime mi ha fatto credere di poter fare del bene, scopo ultimo della nostra esistenza in quanto esseri umani: così l'ho proposto a qualche editoria, scegliendo quella che mi sembrava più in linea con i principi etici e morali a cui auspico.
 
Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
Abbiamo abbattuto un muro effettivo: ad oggi le storie letterarie, in tutta la loro complessa elaborazione, sono a portata di tutti coloro che non possono leggere, che sono impossibilitati dal farlo (come nel caso di chi, purtroppo, è affetto da cecità) o faticano, enormemente demoralizzati da questa difficoltà (come per coloro che devono fare i conti con disturbi specifici dell'apprendimento). Io credo che l'audiolibro abbia portato all'apice il concetto di equità, ed ora il grande mondo della letteratura, la potente arte della scrittura, è davvero a portata di tutti...

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