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26 Nov
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Intervista all'autore - Carlo Danese -

Ci parli un po' di Lei, della Sua vita. Da dove viene? Come e quando ha deciso di diventare scrittore?
Sono nato a Lecce, ma alla fine della guerra i miei genitori mi hanno subito portato al nord, nella casa paterna di Pavia. In questa città ho poi sempre vissuto: ho studiato al liceo classico Ugo Foscolo, mi sono laureato in Scienze Politiche e ho lavorato nel settore farmaceutico fino alla pensione. Sono sposato, con due figli.
Dopo la partecipazione a mostre locali di pittura e di fotografia, sul mio profilo Facebook ho formato il gruppo fotografico “Oasi della fotografia”, che dopo qualche anno ho lasciato ad amici appassionati, per concentrarmi sulla narrativa, pubblicando il primo romanzo “Favola di guerre”.

 
Nell’arco della giornata qual è il momento che dedica alla scrittura?
Un vantaggio della pensione è quello di poter disporre del proprio tempo, almeno in apparenza. Quindi, non ho un momento fisso per scrivere, di solito mi adeguo alle necessità della vita familiare. Quando posso scegliere preferisco la mattina, che dona la mente lucida per fermare sulla carta i pensieri sbocciati durante la notte.
 
Il suo autore contemporaneo preferito?
Ho trovato molto vicino a me Alessandro Baricco, che mi ha ispirato alcuni brani, in particolare con Oceano mare e con Novecento, da cui è stato tratto il film “La leggenda del pianista sull’oceano” di Giuseppe Tornatore.
 
Perché è nata la sua opera?
Sentivo la curiosità e il bisogno di indagare sulle prime tappe della mia vita, sulla realtà e sui sogni dell’infanzia e della fanciullezza, sui rapporti non sempre facili con i miei genitori. Il mio viaggio continua e ora spero di avere il tempo di meditare anche sugli accesi contrasti dell’adolescenza. Parlo a me stesso per trasmettere storie e sentimenti a figli e nipoti.
 
Quanto ha influito nella sua formazione letteraria il contesto sociale nel quale vive o ha vissuto?
Mio padre ha sempre vissuto di letteratura, di arte e di politica, i suoi discorsi erano impregnati di questi argomenti, piuttosto che di economia, di cui per necessità doveva interessarsi mia madre. Io respiravo quell’aria, ascoltavo i sogni e imparavo i nomi del mondo mitico e sofisticato della poesia, in cui il mio gigante onnisciente riusciva a liberarsi dai limiti della realtà quotidiana. Inevitabile che facessi il liceo classico! E che sentissi il piacere di scrivere e di lasciare qualcosa di mio per quando non ci sarò più. Forse è una magra eredità per i figli, che nella nostra società capitalistica hanno bisogno sempre meno di parole e sempre più di aiuti concreti.
 
Scrivere è una evasione dalla realtà o un modo per raccontare la realtà?
Entrambe le cose. Scrivere serve a riflettere e a comunicare a sé stessi e agli altri anche le esperienze che hanno formato la propria personalità e i confini da cui si vuole evadere. Quando si aspira ad una forma artistica di questa comunicazione, si riesce ad estraniarsi dalla realtà e a salire con la fantasia su una nuvola appartata, dalla quale è possibile superare con distacco ogni limite concreto.
 
Quanto di lei c’è in ciò che ha scritto?
Ogni autore porta qualcosa di personale in quello che scrive. Magari trasfigurato, deformato per le esigenze del testo, ma è inevitabile che riveli le sue esperienze e la sua anima, che l’ha spinto a produrre la sua opera. In questo libro sono partito da annebbiati ricordi d’infanzia, dalla traccia dei ricordi di un bambino, ma poi mi sono lasciato guidare dalla fantasia per riempire i vuoti che avevo dentro.
 
C’è qualcuno che si è rivelato fondamentale per la stesura della sua opera?
Mio fratello ha letto la prima stesura del libro, mi ha rivelato quello che ricordava della nostra famiglia e mi ha dato qualche consiglio: è stato piacevole confrontare i nostri lontani ricordi. Però poi ho dovuto chiudermi in me per completare il racconto con l’aiuto della fantasia.
 
A chi ha fatto leggere per primo il romanzo?
Naturalmente a mio fratello. Poi a nessun altro
 
Secondo lei il futuro della scrittura è l’ebook?
Il nuovo millennio ci ha arricchito di questa possibilità, dobbiamo imparare ad apprezzarla. Spesso i giovani nei loro spostamenti non hanno tempo e spazio per preparare bene i bagagli e s’accontentano di leggere libri su computer, smartphone o tablet, che diventano i loro freddi compagni di viaggio. Meglio che niente.
In casa, io preferisco tenere allenati i miei sensi, sentire l’odore del libro, ogni tanto tornare indietro a rileggere, sfogliando rumorosamente qualche pagina e sottolineando qualche rigo, magari per riprenderlo alla fine della lettura. Tremo all’idea di un mondo in cui i libri di carta non attirino più i nostri figli, mi auguro che sappiano trovare la … giusta misura.
 
Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
Può senz’altro essere utile, come tutto ciò che ci regala il progresso, ma non la ritengo una nuova frontiera: non mi entusiasma l’idea di ascoltare passivamente, come in attesa di addormentarmi e di sognare, cullato dalle parole, come fanno le mamme o i nonni. A meno che ci sia costretto! Ripeto, per me il libro va maneggiato e “scarabocchiato”, per diventare mio, per tenermi ben sveglio e lasciarmi le pause per meditare.

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