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13 Lug
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Intervista all'autore - Gregorio Febbo

1. Ci parli un po' di Lei, della Sua vita. Da dove viene? Come e quando ha deciso di diventare scrittore?
Mi chiamo Gregorio Febbo, ho 28 anni e ho vissuto quasi sempre a San Callisto (una piccola frazione del comune di Manoppello in Abruzzo). In realtà, non c'è stato e, probabilmente, non c'è ancora un momento ben preciso, non che io possa etichettare come tale, almeno, nel quale ho deciso di voler diventare scrittore; questo perché ho sempre scritto. C'è da precisare, però, la sottigliezza che fa di uno scrittore un vero cantore di storie e non un artificioso inventore: uno scrittore prima di diventare tale, deve essere tale.
Inoltre, continuo con lo scrivere che, dopo il liceo, ho fatto un'accademia di recitazione (a Roma) diplomandomi, anche come attore cinematografico. Proprio durante il biennio accademico, ho scoperto il gusto, unito al piacere, di scrivere gli sceneggiati. Sempre nello stesso periodo, ho avuto modo affinare la mia tecnica di stesura in versi (sono un poeta più che premiato e menzionato per originalità in tutta Italia e non solo) riuscendo, così, anche dopo gli "anni romani" ad apportare parole a musica: sono anche un compositore/paroliere di testi musicali.
 
2. Nell’arco della giornata qual è il momento che dedica alla scrittura?
Non vi è un momento ben preciso, nell'arco della giornata, che dedico alla scrittura. Posso solo dire che scrivo, quasi quotidianamente, nel momento che a me sembra più opportuno permettere alla mia penna di evolversi. Anche perché scrivere è di per sé una violenza che si esporta da dentro l'anima ai fogli. So bene che, quest'ultimo, è un concetto strano da comprendere, ma posso assicurare che anche i miei colleghi poeti, parolieri, romanzieri e scrittori, scrivono proprio per l'esigenza interiore di buttare il mostro fuori.
 
3. Il suo autore contemporaneo preferito?
Diciamo che, da classicista, amo Buzzati, Calvino, Verga, ma anche i grandi mistici, come ad esempio, San Giovanni Della Croce. Tuttavia, ci sono autori contemporanei che mi piacciono molto, ma tra tutti, mi è molto cara Dacia Maraini che, personalmente, trovo molto evolutiva e mai ripetitiva.
 
4. Perché è nata la sua opera?
Questa Opera è nata dall'esigenza di trasporre su carta il maremoto interno. Ripeto: chi scrive, ogni volta che decide di farlo, lo fa per esigenza, non per altro. Lo scrittore è indirizzato a lasciare un messaggio che sia armonico, quindi compatibile, a molte altre identità come la sua.
 
5. Quanto ha influito nella sua formazione letteraria il contesto sociale nel quale vive o ha vissuto?
Il contesto dove sono e cresciuto, ha influito moltissimo nella mia formazione letteraria. Tuttavia, sono sempre riuscito a trovare un modo per emergere dal quel contesto (parliamo di un contesto di campagna). Negli anni, sono riuscito a scindere che non importa dove si vive, perché la penna di ogni autore, vive dove egli vive.
 
6. Scrivere è una evasione dalla realtà o un modo per raccontare la realtà?
Evasione e realtà: entrambe le cose, entrambe vere. Perché, come ho scritto poco prima, chi scrive è portato ad esternare la realtà e usa la scrittura come prima forma di evasione. Evasione, quest'ultima, che diventa condivisione quando si ha la possibilità di editare un proprio prodotto.
 
7. Quanto di lei c’è in ciò che ha scritto?
Se potessi risponderei così: voglio lasciare ai miei futuri lettori una libera interpretazione. Perché è proprio la libera interpretazione che permette ad ogni singolo lettore di spaziare con la mente e, nei casi più riusciti, fa sì che i lettori possano, in un qualche modo, rivedersi in qualche personaggio o, addirittura, nella storia narrata. Tuttavia, in questo mio scritto vi è tanta parte del mio vissuto.
 
8. C’è qualcuno che si è rivelato fondamentale per la stesura della sua opera?
In realtà, non c'è una persona specifica rivelatasi fondamentale per la buona riuscita della stesura di questa mia Opera. Non posso ricondurre a nessuno, se non a me stesso, il ruolo fulcro di colui che fa da perno tra narrazione e narrante.
 
9. A chi ha fatto leggere per primo il romanzo?
La prima persona che ha letto il mio romanzo è stata Rosa Pierro, colei che ha scritto la prefazione di Orizzonti Umani. Adesso, voglio spendere due parole per Rosa.
Rosa è laureata alla Sapienza di Roma ed è anche una poetessa e autrice della mia stessa terra: l'Abruzzo. Quando le ho proposto se le andasse di scrivere la prefazione alla mia Opera, nonostante i suoi impegni, ha accettato subito. Bene, qui, voglio ringraziarla pubblicamente per aver prestato il suo immenso sapere ad una penna ancora acerba. Grazie, Rosa.
 
10. Secondo lei il futuro della scrittura è l’ebook?
Dipendesse da me, rimarrei ancorato al cartaceo. Amo il profumo della carta e dell'inchiostro. Ma so che, purtroppo, i prodotti in digitale hanno preso il sopravvento, forse troppo. Con questo non intendo screditare l'ebook, ma solo puntualizzare che è fin dai tempi del Paleolitico che l'uomo ha sentito l'esigenza di scrivere (qui parliamo di disegni rupestri, ma è la prima forma di scrittura cui l'uomo si è fatto padrone) e toccare con mano i propri scritti. Detto ciò, se il futuro è nel digitale, me ne farò una ragione.
 
11. Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
Penso sia un prodotto che può abbracciare un numero meno vasto di "lettori"; lo trovo poco efficace in quanto, secondo me, la lettura va custodita e interiorizzata. Tuttavia, mi rendo conto che gli audiolibri sono, senza dubbio, un genere di più efficace uso per i non vedenti, per persone molto anziane o per abituare i bambini, ancora in età non sufficiente per leggere, all'ascolto; e anche, in ultimo, per gli immigrati che non hanno ancora padronanza della lingua.
 
 
 
 
 

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