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12 Lug
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Intervista all'autore - Rita Simeoni

1. Ci parli un po' di Lei, della Sua vita. Da dove viene? Come e quando ha deciso di diventare scrittore?
Sono nata a Napoli, sposata giovanissima con un cittadino egiziano islamico, due figli grandi e una laurea magistrale in lingue: arabo e inglese. Ho deciso di scrivere ai tempi dell'università, nel 2003, durante un corso ed un esame sulla scrittura. Ho iniziato a scrivere in inglese, poi ho scritto il mio primo romanzo, autobiografico. Mi occupo di traduzioni, di tematiche femminili e svolgo lezioni in smart working su varie materie. Ho lavorato come mediatrice culturale, insegnato italiano agli immigrati di Lampedusa e lavorato nel campo dell'editoria come relatrice e nel valutare testi. La mia passione è la scrittura e il cinema, insieme alla musica rock.
 
2. Nell’arco della giornata qual è il momento che dedica alla scrittura?
Il momento dipende dall'ispirazione, in genere scrivo di notte. C 'è sempre un sogno, una frase, un brain storming e poi appunti, note e nella notte silenziosa scrivo, perdendo percezione del tempo e dello spazio.
 
3. Il suo autore contemporaneo preferito?
Ce ne sono tanti, Murakami è uno di questi. La mia scrittura è stata molto influenzata dalla letteratura araba, da Nagib Mahfus, Tahar Ben Jalloun e Assia Djabar. I miei miti sono Nabokov e Bulkakov, Il maestro e Margherita è il mio libro per eccellenza.
 
4. Perché è nata la sua opera?
Ho deciso di scrivere di cibo e psiche perchè la pandemia di ha dato tempo per riflettere sul senso della vita e del nostro rapporto con il cibo. Lo stereotipo sull'immagine femminile ha fatto da cornice. I miei romanzi sono spunti di riflessione, sentimenti intimi condivisi con i lettori. Lo sfondo etico è sempre a discrezione di chi legge. Cerco sempre di scrivere senza toccare temi che potrebbero essere fraintesi. Non amo l'ambuigità.
 
5. Quanto ha influito nella sua formazione letteraria il contesto sociale nel quale vive o ha vissuto?
Il mio essere partenopea è alla base stessa della mia scrittura. Sono nata nel periodo della contestazione giovanile, del femminismo moderno e del boom economico. La mia famiglia, modesta e tradizionale mi ha dato la spinta per ribellarmi ad una cultura limitata e bigotta che non ho mai accettato. Scrittura di protesta la mia, che sta sempre dalla parte dei deboli, dei fragili, senza vittimismo e compassione, con durezza e con ironia.
 
6. Scrivere è una evasione dalla realtà o un modo per raccontare la realtà?
Scrivere è dirmi ed esistere, è sfuggire la realtà descrivendola nelle parole di un libro. Scrivere è avere tante identità, forme e vite parallele. Non amo nascondermi dietro la scrittura, mi metto in gioco e accetto le conseguenze.
 
7. Quanto di lei c’è in ciò che ha scritto?
C'è tanto di me in questo libro e anche tutto il contrario di me. Amo le dicotomie e anche le contraddizioni, credo che solo spostandosi da proprio etnocentrismo e dalla propria individualità si possa ritrovare una immagine più veritiera di noi stessi.
 
8. C’è qualcuno che si è rivelato fondamentale per la stesura della sua opera?
In genere sono sempre le persone sconosciute che mi ispirano. Sconosciuti visti un attimo per strada, immagini rubate sul telefonino di qualcuno seduto accanto a me, un personaggio di un film, anche se in questo caso la perdita di mia madre tre anni fa, mi ha influenzato non poco. Ho cercato di colmare la sua assenza, cosa impossibile, imbastendo un racconto che parte dal rapporto madre e figlia.
 
9. A chi ha fatto leggere per primo il romanzo?
Ad un'amica, mai la stessa. cerco sempre pareri che divergano.
 
10. Secondo lei il futuro della scrittura è l’ebook?
Penso che il futuro sia nella digitalizzazione del cartaceo, ma che proprio per questo i libri come siamo abituati a pensare, manterranno sempre un fascino inesauribile, un patrimonio imprescindibile dell'umanità.
 
11. Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
Un passo obbligato della tecnologia avanzata e della fruibilità del libro per tutte le categorie, non solo un lusso per le persone acculturate e alfabetizzate, per andare incontro a chi è diversamente abile e per una visione più ampia del libro stesso. Siamo nel terzo millennio, mi sembra giusto.
 
 
 

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