1. Che cos’è per Lei scrivere, quali emozioni prova?
Per me scrivere vuol dire riflettere sulla vita; fissare i ricordi, dargli un senso; evocare suggestioni del passato. L’atto con cui si eternano attimi fuggenti con la scrittura, lo paragono allo scatto fotografico: in entrambi i casi l’attenzione si posa sull’oggetto, ma la visione è pur sempre soggettiva.
2. Quanto della sua vita reale è presente in questo libro?
“Un anno alla Trampa” si basa su fatti reali, su storie vissute. Niente è inventato. Tutto filtrato ovviamente dalle impressioni che eventi, situazioni, incontri mi hanno suscitato. Si tratta in sostanza di un libro di memorie e anche di formazione perché il vissuto che ho narrato ha contribuito appunto alla mia crescita umana e culturale.
3. Riassuma in poche parole cosa ha significato per Lei scrivere quest’opera.
Innanzitutto il piacere di ricordare, che per me è di vitale importanza. Ricordare dà significato alla vita. Fissare e tramandare esperienze, lasciare traccia di cose perdute anche, come in questo caso. Narrare infatti la vita che gli italiani conducevano in cantieri esteri, in cui i lavoratori si trasferivano per lunghi periodi, spesso accompagnai dalle loro famiglie, vivendo in villaggi nati dal niente, costruiti appositamente per quelle piccole comunità, significa lasciare traccia di una parte della nostra storia che non c’è più. Intendo dire con questo non che gli italiani non lavorino più nei cantieri esteri, ma che non si usa più sistemarli in villaggi costruiti ad hoc, per cui quelle comunità non esistono più.
4. La scelta del titolo è stata semplice o ha combattuto con se stesso per deciderlo tra varie alternative?
Non ho faticato molto per sceglierlo. Mi sono chiesta come potevo riassumere i fatti narrati e siccome non ce n’era uno in particolare che potesse dar vita a un titolo, ho pensato che forse il tratto più significativo fosse il tempo di durata dell’esperienza. Certo il nome del posto non è noto, avrei potuto riferirmi al Venezuela, ma sarebbe stato molto generico e magari banale. La Trampa invece può suscitare almeno un guizzo di curiosità nel lettore e indurlo a sfogliare il testo per soddisfarla.
5. In un’ipotetica isola deserta, quale libro vorrebbe con sé? O quale scrittore? Perché?
Io amo soprattutto i classici. Le opere più recenti difficilmente mi hanno conquistato. Per molte ho provato addirittura noia. Mi appassionano gli autori russi inglesi francesi dell’Ottocento. Manzoni è il mio prediletto fra gli italiani. Cervantes fra gli spagnoli. Ho scoperto di recente quello che considero il capolavoro della nostra letteratura del ‘900, “Il cavallo rosso” di Eugenio Corti, un romanzo epico, di un autore sensibile, acuto, scritto in uno stile invidiabile. Ecco, porterei magari questo nell’isola deserta. Lo rileggerei molto volentieri.
6. Ebook o cartaceo?
Cartaceo: amo il profumo dei libri, il fruscio delle pagine, l’opportunità di scartabellarle, cercare passi indietro per rileggerli, con una matita sempre a portata di mano per sottolineare frasi che mi colpiscono.
7. Quando e perché ha deciso di intraprendere la carriera di scrittore?
Non la ritengo una carriera per me, ma un hobby. Nel mio caso è un atto spontaneo, un modo per riflettere ed esprimermi. Ovviamente trovo appagante anche essere letta, e quando riscontro fra i commenti l’osservazione che chi legge ha l’impressione di essere lì nella storia, mi pare di aver raggiunto lo scopo che sempre mi prefiggo.
8. Come nasce l’idea di questo libro? Ci racconterebbe un aneddoto legato alla scrittura di questo romanzo?
Questo libro nasce da lontano. Appena tornata dal cantiere in Venezuela, ripresa la vita di tutti giorni in Italia in una situazione di “normalità”, ho provato un certo spaesamento, provocato da una sensazione di saudade, che del resto fa parte del mio carattere. Pensare con nostalgia al passato è un tratto essenziale della mia personalità. Ho quindi pensato subito che sarebbe stato confortante cercare di raccontare almeno quell’esperienza, per farla “durare” salvandola. Però solo molti anni dopo ho cominciato a stendere l’inizio del racconto. Avevo le basi per farlo: le lettere che inviavo a parenti ed amici hanno rappresentato in pratica la prima stesura del romanzo. L’abbozzo. Siccome poi i ricordi erano vividi ancora dopo tanto tempo, quando mi sono messa a scrivere con più determinazione, è stato facile rievocarli. Insomma la stesura si è protratta nel tempo e quindi si sono sovrapposte varie versioni.
Se devo riportare un aneddoto, direi che il colpo di acceleratore, quello che mi ha indotto a finire l’opera è stata la possibilità di ritrovare dopo tanti anni, grazie a Facebook, persone che avevo conosciuto laggiù. Insieme abbiamo ricordato quelle esperienze e questo mi ha fatto da sprone.
9. Cosa si prova a vedere il proprio lavoro prendere corpo e diventare un libro?
Si prova soddisfazione, appagamento. Penso che per qualsiasi scrittore sia la prova tangibile della sua fatica letteraria, la materialità del libro è come il frutto di un albero, le cui radici affondano nell’ispirazione.
10. Chi è stata la prima persona che ha letto il suo libro?
Mio marito Rolando.
11. Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
Penso sia molto utile per le persone che hanno difficoltà a leggere, o per altre che hanno poco tempo da dedicare alla lettura. L’audiolibro ha anche il gran vantaggio che può consentire di conoscere le opere mentre si è applicati in altre attività pratiche.