1. Che cos’è per Lei scrivere, quali emozioni prova?
È difficile descrivere le sensazioni che si accavallano nella mia mente quando mi trovo con una penna in mano davanti a un foglio di carta bianco o ad una pagina vuota del computer: gioia, tensione, preoccupazione, ma soprattutto la consapevolezza di avere la possibilità di esprimere con le parole scritte tutto ciò che mi porto dentro e che spesso non riesco a tirare fuori in maniera adeguata. Scrivendo passano tutte le mie insicurezze, le mie paure e mi sento libero di dare voce alle pulsazioni più intime che altrimenti resterebbero soffocate dentro di me.
Quando costruisco un personaggio cerco di descriverlo con la massima onestà, immaginando sempre che sia una persona che incontro sulla mia strada, con la quale mi relaziono, che mi confida un segreto, bello o brutto che sia. La scelta delle parole, dei verbi, degli aggettivi ha un valore importante che mi richiama alla responsabilità di essere il più obiettivo possibile.
2. Quanto della sua vita reale è presente in questo libro?
Quando ritorna il desiderio di scrivere e soprattutto di concludere ciò che hai iniziato tanto tempo prima, è come se si entrasse in simbiosi con il lavoro che stai preparando. Oltretutto il libro è ambientato negli ambienti scolastici e universitari, che sono i luoghi che maggiormente frequento e di cui penso di conoscere abbastanza bene alcuni tratti caratteristici, soprattutto nel rapporto insegnante studente. Il personaggio principale Alfred Jonathan Thompson, professore in pensione, è il paradigma del mondo del sapere che non rimane però sospeso in aria tra i falsi sapienti, ma scende sul terreno della concretezza per lottare strenuamente contro un nemico pericoloso e aiutare i suoi alunni in una sfida fondamentale per l’umanità.
3. Riassuma in poche parole cosa ha significato per Lei scrivere quest’opera.
Ha significato dare voce e concretezza a un problema che mi sta da sempre a cuore e che solo con un libro avrei potuto condividere con qualcuno. La scelta di questa battaglia ancestrale tra Bene e Male che nel romanzo si svolge nell’arco di quarant’anni dal 1953 al 1989, attraverso le avventure e i misteri dei numerosi personaggi che lo caratterizzano, è la metafora della lotta tra il vero sapere e la falsa conoscenza, un rischio che tutti noi corriamo quotidianamente inseguendo spesso canali e correnti sbagliati. Dall’aula dell’università di Rakelfinne ad Edimburgo, nasce un grido d’allarme che gli eroi del libro non lasceranno senza risposta ma che li farà esporre a tanti pericoli fisici e morali che la scelta del Bene comporta. Venti anni fa quando ho iniziato a scrivere questo libro non avrei mai pensato ad un finale del genere. Oggi sono contento del finale che ho scelto perché ha dato voce a tutto ciò che per tanto tempo non sono riuscito a dire.
4. La scelta del titolo è stata semplice o ha combattuto con se stesso per deciderlo tra varie alternative?
La scelta del titolo La Barriera Invisibile è sempre stata una delle poche certezze che ho avuto da quando ho cominciato a scrivere il romanzo, insieme al nome del personaggio principale, Alfred Jonathan Thompson. In pratica mi sono affezionato subito al titolo del libro perché questo rispecchiava esattamente ciò che intendevo dire: la barriera invisibile infatti è per me quella risorsa interiore che tutti noi possediamo e che viene in nostro aiuto nei momenti topici della vita, proprio come accade ai personaggi del romanzo. È l’attrezzatura più adatta per intraprendere una lotta tra Bene e Male.
5. In un’ipotetica isola deserta, quale libro vorrebbe con sé? O quale scrittore? Perché?
La scelta non è sicuramente facile. Partendo dalla situazione di disagio che la solitudine di un’isola comporta, mi farei confortare dalle pagine memorabili dei Fratelli Karamazov di Fedor Dostoevskij, testamento spirituale dell’autore e grande lavoro introspettivo che mi aiuterebbe a trascorrere le lunghe giornate sull’isola. Come compagnia e confronto speculare sulla scrittura e gli argomenti trattati, vorrei con me Stephen King, per chiedergli di spiegarmi la sua capacità di analizzare e quindi descrivere le manifestazioni del male ma soprattutto l’abilità di lasciare in eredità al lettore personaggi memorabili come Bill Denbrough di It o Luke Ellis del libro l’Istituto.
6. Ebook o cartaceo?
Venendo da una formazione classica penso che il libro cartaceo sia insostituibile per manualità, concretezza e memoria. Nello stesso tempo credo che la nuova frontiera della comunicazione può servirsi anche di strumenti più aderenti ad una società in continua evoluzione che sta cambiando i tempi di lettura e di avvicinamento al libro e al mondo dell’editoria. Pur ritenendo indispensabile la forma classica di lettura che la mia impostazione di insegnante di lettere predilige, penso che la fluidità dell’ebook possa essere una soluzione efficace per determinate persone e in particolari momenti.
7. Quando e perché ha deciso di intraprendere la carriera di scrittore?
Parlare di carriera di scrittore è forse prematuro e un po' mi fa sorridere. Partendo dal presupposto che fin dall’adolescenza mi è sempre piaciuto scrivere (poesie, canzoni, articoli…), l’idea di un libro vero e proprio l’ho accarezzata fin dai tempi dell’università, quando mi muovevo nel vasto panorama della letteratura classica e contemporanea. A questo riguardo mi piace ricordare un episodio che per certi aspetti reputo determinante per la mia scelta. In un anno accademico presso la facoltà di Lettere e Filosofia della Sapienza di Roma, ebbi la fortuna di partecipare ad un seminario e quindi conoscere personalmente il grande Eduardo De Filippo. Di quell’uomo mi colpì la semplicità con cui riusciva a comunicare i suoi pensieri. Pensai che se fossi diventato uno scrittore mi sarei preoccupato soprattutto di saper proporre con chiarezza i contenuti che avrei desiderato portare avanti. Però per fare questo bisognava iniziare a scrivere e dopo tanti anni eccomi qui con La Barriera Invisibile.
8. Come nasce l’idea di questo libro? Ci racconterebbe un aneddoto legato alla scrittura di questo romanzo?
L’idea di un romanzo che trattasse l’atavica lotta tra Bene e Male in realtà l’ho sempre avuta, o meglio ho sempre pensato che se avessi scritto un libro avrei trattato questo argomento. Un aneddoto c’è, forse molto semplice ma non so perché l’ho sempre tenuto in mente fin da ragazzo. Si tratta dell’episodio dell’Odissea quando Ulisse riesce a sconfiggere con l’astuzia un nemico decisamente più forte di lui, Polifemo. Ho sempre quindi pensato che la vera forza non nasce dalla prepotenza o dall’arroganza, ma dalla capacità di trovare la strada giusta al momento giusto. Nel libro La Barriera Invisibile, ho cercato di arricchire questo argomento inserendo momenti di suspense e di tensione, elementi che secondo me non dovrebbero mai mancare in nessun romanzo.
9. Cosa si prova a vedere il proprio lavoro prendere corpo e diventare un libro?
È un sogno che sto per realizzare ma che nello stesso tempo mi fa venire i brividi, anche perché questo sogno l’ho sempre conservato gelosamente e non l’ho mai confidato a nessuno. Durante tutto questo tempo ho tenuto per me le difficoltà, i dubbi, le incertezze, il classico blocco dello scrittore (molto lungo…), sperando sempre che da un momento all’altro mi venisse la motivazione giusta per continuare e soprattutto finire ciò che da più di vent’ anni avevo iniziato. A un certo punto confesso che mi ero quasi definitivamente arenato! Per fortuna il momento è arrivato e vedendo per la prima volta la copertina ufficiale e la vostra copia campione mi sono davvero emozionato.
10. Chi è stata la prima persona che ha letto il suo libro?
Una mia amica senza la quale questo lavoro non avrebbe mai visto la luce. Di questo ne sono convinto, perché scrivere un libro è soprattutto ritrovare fiducia in sé stessi e questo aspetto mi mancava da tanto tempo. Se non credi nelle tue capacità non puoi riuscire a fare nulla, figuriamoci scrivere un romanzo di cinquecento pagine! L’ultimo anno è stato fondamentale quindi per riprendere in mano il manoscritto impolverato e riattivare tutti i meccanismi indispensabili per portarlo a termine; è scattata quella motivazione che cercavo da tanto ma che non riuscivo a trovare e che mi ha permesso di completare finalmente l’opera nei tempi e nei modi che più desideravo.
11. Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
La risposta è simile a quella della domanda precedente riguardante l’ebook. Anche l’audiolibro può essere un sistema alternativo al libro cartaceo, senza sostituirlo, ma integrandolo con la novità dell’ascolto. Questi mezzi possono essere complementari al libro classico, utili soprattutto in determinate circostanze.