1. La Biodiversità costituisce un argomento di grande attualità. Come è nata l’idea di dedicarvi un’opera, non se parla a sufficienza?
Se ne parla molto ma, come anche per l’ecologia, la salvaguardia dell’ambiente, il mondialismo, la gestione delle risorse, spesso in modo scorretto e superficiale, si a avanti per luoghi comuni, senza chiarire i termini tecnico/scientifici ed il contesto socio/economico, partendo da premesse ideologiche e/o politiche spesso fuorvianti. Per questo abbiamo deciso di fornire le chiavi esplicative ed il contesto di riferimento, non solo al pubblico non specialista, ma anche agli studenti ed ai decisori politici, nonché a quanti sono impegnati nella trasmissione delle informazioni.
2. Qual è il sostrato professionale da cui siete partiti?
Sia io che il compianto Prof. De Murtas abbiamo lavorato a lungo ed in vari contesti anche internazionali nel campo della biodiversità ed abbiamo accumulato conoscenze e dati che riteniamo di basilare interesse per chiunque voglia affrontare l’argomento. De Murtas è stato Consigliere della FAO in diversi contesti africani ed ha contribuito a risolvere problematiche critiche sul campo. Mentre il sottoscritto ha affrontato l’argomento dal punto di vista evoluzionistico e da quello della gestione delle risorse energetiche ed industriali.
Certamente per entrambi è stato di fondamentale importanza lavorare in ambito ENEA, Ente che vanta un notevole know how sia nel campo della difesa e nella gestione dell’ambiente che nel comparto industriale ed energetico e dove sono concentrate professionalità tecnico/scientifico di primordine.
3. Il vostro lavoro tecnico/scientifico è sempre stato affiancato dalla didattica e dalla divulgazione. Quindi considerate queste attività un complemento importante al lavoro prettamente scientifico?
Non importante, fondamentale. Al di fuori del contesto scientifico, specialmente nel nostro Paese, la scienza, e specialmente la tecnologia, vengono spesso affrontate in maniera superficiale e direi quasi banale mentre, nel caso di catastrofi o incidenti industriali, prevale l’impatto emotivo e sensazionalistico rispetto ad una corretta esposizione dei fatti e anche le decisioni dei politici vengono prese in modo poco ponderato. Questo ha effetti devastanti, specialmente nella società moderna ipertecnologica ed interconnessa. Diviene fondamentale quindi che il cittadino possa disporre degli strumenti culturali adeguati per soppesare in modo critico la ridda di informazioni che riceve. Non dimentichiamo che i mass media, in special modo la televisione, ed Internet permettono a chiunque di discettare di argomenti che conosce poco o punto, partendo spesso da pregiudizi o luoghi comuni.
4. Anche se esiste una notevole e pregevole tradizione divulgativa, specialmente nel mondo anglosassone, molti ricercatori considerano con sufficienza la divulgazione.
Quest’ultimo atteggiamento lo trovo esecrabile. Lo chiamo sindrome della torre d’avorio. Mi spiego meglio: se fossimo privati cittadini che si dilettano di scienza lo potrei anche capire. Ma il ricercatore è un professionista che viene pagato dallo Stato, quindi dai cittadini, o da società private e deve costituire un suo impegno morale e sociale favorire il trasferimento delle acquisizioni scientifiche e tecnologiche, rendendole fruibili al pubblico, almeno attraverso la collaborazione con i mass media e con il mondo della scuola.
5. Quindi, secondo Lei, ogni ricercatore dovrebbe essere anche un divulgatore?
Non dico questo, anche perché la divulgazione, come anche la didattica, costituisce un lavoro altamente specialistico ed anche scienziati di altissimo profilo spesso non eccellono come divulgatori. Però si dovrebbe fornire il massimo supporto a chi di divulgazione e di didattica si occupa.
6. Quale dovrebbe essere invece l’approccio verso i decisori politici?
Questo è un argomento molto delicato: i politici, di qualsiasi schieramento, danno priorità a chi “alza la voce” ed alle istanze subitanee della popolazione, queste ultime spesso “orientate” da chi ha interessi economici o pregiudizi ambientali o di altro tipo, a detrimento delle priorità sanitarie, ambientali ed economiche. In Italia abbiamo esempi notevoli di rifiuto pregiudiziale verso nuove tecnologie e verso la costruzione di infrastrutture energetiche e non solo. In questi casi i ricercatori ed i docenti universitari hanno l’obbligo morale e civile di far sentire la propria voce e “metterci la faccia”, mentre, purtroppo, specialmente in Italia, accettano supinamente che siano altre entità ad indurre scelte che a volte si rivelano disastrose.
7. Ha citato i docenti universitari. E quelli della scuola?
In Italia, ancora oggi, paghiamo gli effetti nefasti della Riforma Gentile che considerava la vera cultura quella derivata dalle materie umanistiche, relegando la formazione scientifica ad un ruolo secondario, direi comprimario. Inoltre, spesso, alcune materie, in special modo la biologia, soffrono da una parte di pregiudizi religiosi e/o ideologici e dall’altra di luoghi comuni e derive ambientaliste che cozzano con le acquisizioni scientifiche. Inoltre, anche se da questo punto di vista le cose stanno migliorando, gli aggiornamenti sono inadeguati.
Per quanto concerne l’insegnamento delle materie scientifiche, va necessariamente citato il caso dell’ex Ministro Moratti che aveva tolto l’insegnamento della biologia evoluzionistica e del sistema solare dai programmi della scuola dell’obbligo!
9. Torniamo alla Biodiversità: quindi è prioritario fornirne un’adeguata informazione?
Ovviamente: se non si comprende veramente il significato del concetto di Biodiversità e le implicazioni che ne derivano, nonché le componenti che la costituiscono, non è possibile intervenire in modo corretto per la sua salvaguardia e quindi per la corretta gestione dell’ambiente e delle risorse e per il miglioramento della qualità della vita anche della nostra Specie.