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24 Apr
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Intervista all'autore - Marcello Sgarbi

1. Ci parli un po' di Lei, della Sua vita. Da dove viene? Come e quando ha deciso di diventare scrittore?
Sono nato a Ferrara, ma nonostante le mie radici siano là, da quando avevo solo un anno ho trascorso la mia vita tra Saronno, Como e Appiano Gentile, dove oggi vivo con la mia famiglia. In realtà non ho mai deciso di diventare scrittore. Semplicemente scrivo, di tutto. Da sempre, fin da quando ero piccolo. In genere, a questo tipo di domande rispondo come risponderebbero Sciascia (che affermava: "Mi dico scrittore solo perché scrivo") o Flaiano (che diceva: "Non ho una vocazione narrativa. Scrivo, che è diverso").
 
2. Nell’arco della giornata qual è il momento che dedica alla scrittura?
Scrivo parecchio durante la mattinata, spesso nelle primissime ore (6.00-7.00). In genere dedico il pomeriggio alla revisione di quello che ho scritto al mattino. Di sera non scrivo quasi mai, perché la mente è stanca. Di notte men che meno, perché al mattino ho bisogno di avere pensieri lucidi. Tanto più che mi occupo di scrittura anche in altri ambiti, come consulente di comunicazione (in particolare nel copywriting, per conto di agenzie di pubblicità o clienti diretti).
 
3. Il suo autore contemporaneo preferito?
Daniel Pennac, che trovo straordinario per i chiaroscuri dei suoi personaggi, per l'uso sapiente delle figure retoriche (in particolare la metafora) e per lo stile: scorrevole e asciutto, ma ricco di "perle" di saggezza nascoste quasi con noncuranza qua e là fra le pagine. Un autore colto e insieme "pop", che non si compiace del suo sapere ma ne dà prova con insistiti rimandi ad autori classici e contemporanei. Ho letto quasi tutto quello che ha scritto, ma fra i suoi libri "Come un romanzo" è quello che preferisco, perché è il concentrato del piacere di leggere.
 
4. Perché è nata la sua opera?
Il primo motivo è la mia curiosità "tangenziale" verso il mondo della musica (sono un semplice "suonatore Jones", ma comunque suonare e cantare sono altre due passioni importanti della mia vita). In particolare, proprio perché lo conosco poco, sono attratto dal jazz e dai suoi protagonisti. Il secondo motivo è rendere omaggio ad Alfredo Ferrario, clarinettista swing: un concittadino di basso profilo, che però ha frequentato e frequenta alcuni dei più grandi jazzisti italiani e internazionali.
 
5. Quanto ha influito nella sua formazione letteraria il contesto sociale nel quale vive o ha vissuto?
Molto, se si considera che la mia famiglia d'origine è umile. Però mio padre, soprattutto quando ero piccolo, non mancava mai di procurarsi sulle bancarelle - perché lì i libri, si sa, costano meno - favole, racconti e testi didattici che poi a casa io leggevo avidamente. Da figlio unico, poi, spesso la mia sola compagnia erano i fumetti. E anche lì ho letto tanto.
 
6. Scrivere è una evasione dalla realtà o un modo per raccontare la realtà?
Scrivere per me è, ancora prima, avere qualcosa da dire, da raccontare. Che poi sia un noir o una cronaca, nel primo caso è evasione dalla realtà e nel secondo è narrazione della realtà, ma soprattutto è racconto. Per questo sono attratto dall'affabulazione, forse perché vengo da una terra (l'Emilia Romagna) dove il tramandarsi oralmente fatti e aneddoti ha una lunga tradizione, che ha le sue radici più profonde nel focolare domestico. Il luogo dove una volta nascevano i figli, si cuoceva il pane e l'arzdor (il reggitore, il patriarca di famiglia, in dialetto emiliano) narrava, seduto davanti al camino e nell'aia di un casolare.
 
7. Quanto di lei c’è in ciò che ha scritto?
Penso che un pò di me ci sia in qualunque cosa abbia scritto finora: molti dei miei personaggi sono autobiografici, alcune narrazioni d'ambiente rievocano luoghi che fanno - o hanno fatto - parte della mia vita. Anche nelle mie canzoni ci sono continui rimandi a me stesso o alle persone che mi circondano (per esempio "Valentina", dedicata a mia figlia, o "Se", che ho scritto per mia moglie). Per non parlare della diaristica (circa trent'anni), che tengo dal 1981 e da cui emerge tutto quello che sono.
 
8. C’è qualcuno che si è rivelato fondamentale per la stesura della sua opera?
L'elenco sarebbe troppo lungo. Ovviamente la figura di Alfredo Ferrario, visto che si tratta di un libro-intervista. E di conseguenza un'infinità di autori jazz, soprattutto quelli più vicini al mondo dello swing (Benny Goodman, ma anche Louis Armstrong e Duke Ellington). La linfa e l'humus di questo libro sono soprattutto l'ascolto del jazz e il racconto dell'esperienza in questo affascinante mondo dalla viva voce di Ferrario.
 
9. A chi ha fatto leggere per primo il romanzo?
Al protagonista del libro-intervista, poi a qualche altro amico musicista, per avere un giudizio critico.
 
10. Secondo lei il futuro della scrittura è l’ebook?
Può anche darsi, ma io amo il cartaceo. Amo toccare la copertina di un libro, guardarla, odorare la carta, sfogliare le pagine, mettere il libro che ho letto nello scaffale della libreria accanto agli altri, possibilmente in ordine di altezza (lo so, forse è un pò maniacale, ma sono fatto così). Non demonizzo l'ebook, utile a tanti che per ragioni "ics" non possono gestire un libro cartaceo, ma la mia preferenza è netta.
 
11. Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
L'audiolibro, secondo me, è molto importante prima di tutto per la sua funzione "sociale". Penso per esempio ad un carissimo amico musicista: è non vedente, quindi senza audiolibro non potrebbe "leggere" (sì, c'è il Braille, ma quanti libri si stampano con questo sistema? Forse i classici, ma i contemporanei?). Poi, pro domo mea, visto che amo - se posso - porgere la lettura ad alta voce delle pagine di un libro e mi sembra di possedere sia una discreta voce sia una pronuncia corretta, non mi dispiacerebbe addirittura farne un'occupazione. Comunque, al di là di questo, ritengo che il libro debba essere un tutto, fatto di testo e di immagini (e quindi di racconto, in primis, certo, ma anche di copertina e di illustrazioni).
 
 
 

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Venerdì, 24 Aprile 2020 | di @BookSprint Edizioni

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