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31 Gen
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Intervista all'autore - Pier Luigi Milani

1. Che cos’è per Lei scrivere, quali emozioni prova?
Scrivere è per me una sorta di auto-affabulazione, una dimensione ad un tempo emotiva e razionale che la mente non riesce ad abbracciare da sola.
A volte, la ricerca delle espressioni e la combinazione drammaturgica offrono a chi scrive una sensazione simile a quella che deve provare il rapace che, mentre volteggia, può osservare il mondo dall’alto e decidere se interferire con ciò che si muove sotto di lui o astenersi dal farlo.
Scrivere storie offre inoltre l’opportunità e l’ebbrezza di evocare mondi paralleli, forse improbabili, ma tuttavia possibili.
 
2. Quanto della sua vita reale è presente in questo libro?
Parecchio.
Ad esempio, la percezione del deterioramento di quella che un tempo era considerata l’”arte liberale” per antonomasia, l’avvocatura, ormai insidiata dall’incedere della cosiddetta “giustizia predittiva”, che sta per affidare agli algoritmi la decisione in ordine a quali ragioni e quali diritti potranno avere accesso alle corti di giustizia e quali no, a chi potrà e dovrà essere ritenuto innocente o colpevole di un crimine, a chi meriterà la libertà e/o l’esercizio dei diritti civili e politici (tra cui l’elettorato attivo e passivo) e chi no.
 
3. Riassuma in poche parole cosa ha significato per Lei scrivere quest’opera.
Innanzitutto, ha significato rivolgermi ai miei contemporanei (come un’improbabile Cassandra) per scuoterli e segnalare loro l’inquietante futuro delle Macchine pensanti che, complice un’umanità consenziente e persino plaudente, si apprestano a espropriarla del sapere e del fare e a relegarla in ruoli sempre più marginali e parassitari, all’inutilità e alla sudditanza.
A meno che… l’umanità sappia far fare leva su ciò che le è più caratteristico e che le Macchine non riusciranno a toglierle: l’affettività responsabile.
 
4. La scelta del titolo è stata semplice o ha combattuto con se stesso per deciderlo tra varie alternative?
Anche questa scelta è stata nel contempo istintiva e razionale.
“L’Algoritmo Ribelle” è un flash attorno al quale sono andato via via aggregando spezzoni di intuizioni, riflessioni e ricerche.
“Già troppo tardi?” costituiva l’ipotesi B, tuttavia priva di uguale vis attractiva, per cui è divenuto il sottotitolo.
 
5. In un’ipotetica isola deserta, quale libro vorrebbe con sé? O quale scrittore? Perché?
“Cent’anni di solitudine” di Gabriel Garcia Marquez, o "Omaggio alla Catalogna di George Orwell, o, ancora, i racconti di Jack London. Come scrittore, sicuramente Franz Kafka o Milan Kundera Perché? Raccontano storie basate sull'introspezione dell'animo umano e sulla grandiosità dell'ordine/disordine che governa l'Universo esteriore tanto quanto quello interiore.
 
6. Ebook o cartaceo?
Entrambi, anche se, per ciò che il cartaceo ha rappresentato nella mia formazione, continuo ad avere più dimestichezza con quest’ultimo.
 
7. Quando e perché ha deciso di intraprendere la carriera di scrittore?
La mia non è una carriera nel senso corrente del termine. È solo una grande passione "a latere" della mia costituzione ideale, della mia professione e dei miei affetti, senza i quali probabilmente non sarei mai arrivato a spendere una parte così importante della mia vita con una penna in mano e un foglio di carta sul tavolo (o con una tastiera e un monitor davanti agli occhi).
 
8. Come nasce l’idea di questo libro? Ci racconterebbe un aneddoto legato alla scrittura di questo romanzo?
Erano gli anni in cui da un lato si cominciava a discutere di “reddito di cittadinanza” sì e “reddito di cittadinanza” no e, da un altro lato, cominciava a emergere l’attenzione alle conseguenze del cosiddetto risparmio di “forza lavoro” connesso all’introduzione massiccia e sistematica dei robot e dell’intelligenza artificiale nei processi produttivi e di servizio.
Ad un tratto si riaffacciò alla mia mente la storia tanto vituperata dei luddisti e del “luddismo” di inizio Ottocento e, nel tentativo di saperne di più, mi imbattei nell’orazione pronunciata da Lord Byron nel 1812 alla Camera dei Lords in loro difesa.
E, all’improvviso, mi parve di aver capito tutto.
 
9. Cosa si prova a vedere il proprio lavoro prendere corpo e diventare un libro?
Dico spesso che è come partorire, come sgravarsi di una creatura che già scalpita dentro di te, che sei ansioso di vedere nella sua compiutezza e di accompagnare finché non avrà imparato a muoversi con le proprie gambe.
Almeno per ora, questa è l’unica forma di “maternità consentita a noi maschi della specie.
È insieme gioia e travaglio.
 
10. Chi è stata la prima persona che ha letto il suo libro?
In verità sono due le persone cui, quasi in contemporanea, ho sottoposto l'anteprima della bozza: una è l'ideatrice della copertina, l'attuale presidente del Circolo culturale Ghislandi, che ho contribuito a fondare tanti anni fa e di cui continuo a far parte. Una collaborazione preziosissima la sua.
L’altro è un caro amico ingegnere, col quale condivido la passione per la musica e, in particolare, per la chitarra. Prima di leggere il testo si era detto curioso di conoscere su quali basi poggiasse questo mio nuovo cimento letterario. Il suo responso positivo e i suoi suggerimenti sono stati un ottimo incoraggiamento sul piano tecnico-scientifico.
 
11. Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
Tutto il bene possibile.
Ricordo ancora con nostalgia un'indimenticabile rubrica di radio RAI dei trascorsi anni settanta, in cui alcuni bravi attori si alternavano nella lettura delle opere classiche. Penso che occorrerebbe ancora oggi un canale radiofonico dedicato, al quale potersi sintonizzare, magari anche dal telefonino, per ascoltare l'emozionalizzazione delle creazioni letterarie degli autori di grande notorietà e magari anche di quelli meno blasonati.
 
 

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Venerdì, 31 Gennaio 2020 | di @BookSprint Edizioni

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