Della mia vita posso dire fondamentalmente una cosa, che poi si riflette come tematica presente nella maggior parte dei miei racconti ma che, se si riflette, riguarda ognuno di noi: il potere insindacabile e non contrastabile del fato. Il destino ha spesso cambiato segmenti del mio percorso, spesso in modo quasi impercettibile ma a volte in maniera decisa e prepotente facendo in modo che spesso, quando penso a come poteva diventare la mia vita se ... non riesco perché non posso darmi una risposta. Iniziai a scrivere perché mi è sempre piaciuto avere una penna in mano, quando ero piccolo mi rimase impressa nella mente una frase di mia nonna, donna che ha avuto un'importanza fondamentale in alcuni aspetti della mia personalità. Spesso diceva: "Datemi una penna che vi sollevo il mondo". Scrivevo degli ottimi temi a scuola, e per scuola non intendo quella che feci per sbaglio a quattordici anni dove scelsi di fare elettronica e ancora non riesco a capire cosa mi fosse passato per il cervello in quel periodo; intendo la scuola che scelsi a trentun anni, di giorno lavoravo e la sera frequentavo le magistrali, attratto come ero dalla filosofia e dalla letteratura. Erano gli anni in cui leggevo tantissimo. Più precisamente, i libri li divoravo. Quando nacquero i miei figli scoprii di avere delle capacità nell'inventare storie, loro preferivano le storie che inventavo (a distanza di anni se le ricordano ancora) più di quelle che leggevo loro. Poi ho iniziato a scrivere, più di dieci anni fa, e ho capito che era davvero la cosa che più mi piaceva fare.
2. Nell’arco della giornata qual è il momento che dedica alla scrittura?
Non ho momenti preferiti perché le mie giornate sono assorbite dal mio lavoro, che purtroppo non è quello dello scrittore. Svolgo un'attività nel campo del noleggio delle slot-machine e giro per i bar dalla mattina alla sera, lavoro la cui unica gratificazione è rappresentata dal bellissimo rapporto che ho con la clientela che gestisco e che mi dà la possibilità di conoscere e studiare tanti tipi di personaggi che poi caratterizzo e inserisco nei miei racconti. Il bar è un campo neutro dove la natura umana tende a lasciarsi andare e a scoprirsi, ecco che si crea la possibilità di vedere persone particolari che rendono visibili, lasciano intravedere aspetti interessanti che poi riempiono il tessuto dei miei personaggi. Il tempo per scrivere me lo devo ritagliare per forza, a casa non è facile trovare l'ambiente adatto per scrivere perché non sono mai da solo, e per scrivere ho bisogno della tranquillità. D'estate è il periodo migliore perché posso uscire e trovare una panchina un parco o la riva del lago, a casa posso stare sul balcone la sera e scrivere comodamente. Il momento migliore è comunque il periodo di vacanza, quelle sono giornate estremamente fertili. Alla stessa stregua a livello di importanza sono le circostanze che mi portano alla scrittura di un racconto. Spesso nascono dalle passeggiate serali in solitudine, da situazioni che vedo in apparenza banali ma che poi risultano essere lo spunto per narrazioni interessanti. Devo dire, peraltro, che mi è capitato di iniziare una storia in condizioni non particolarmente idonee. "Quel tocco che non ebbe Gavroche" nacque in un momento di sofferenza, perché mi trovavo in un piccolissimo parchetto vicino a casa coi miei bambini in mezzo a una pletora di mamme chiacchierone e bambini urlanti. Io non sopporto la folla, mi fa quasi stare male fisicamente, e mi trovavo seduto su una panchina quasi terrorizzato, impaurito, nonostante tutto mi venne l'idea per iniziare un racconto a prescindere poi dal suo svolgimento che fa parte di un lavoro più ampio.
3. Il suo autore contemporaneo preferito?
Detto che quando entro in una libreria difficilmente ne esco con meno di dieci libri, ci sono degli scrittori che compro a scatola chiusa. Quando esce un nuovo libro di Barrico o Ammaniti lo acquisto a prescindere, ultimamente mi appassiona Lansdale e i suoi personaggi noir, poi mi affido all'istinto e se il risultato è positivo proseguo con quell'autore. È così che ho scoperto e apprezzato l'opera di Murakami, Szabò, Fante, Munro, Marai, Longo. Poi ci sono quelli che chiamo i mostri sacri che contribuiscono ad arricchire la mia biblioteca, Hesse, Zola, Hugo, i grandi scrittori americani come Kerouac Steinbeck Bukowsky, la nostra Oriana e la Mazzantini. Ce ne sono un mondo!... Più che l'autore preferito preferirei citare il romanzo in assoluto che più ho amato: "I Miserabili". E il più divertente, quello che mi ha fatto piegare in due dalle risate e che tutti dovrebbero leggere, "Don Chisciotte".
4. Perché è nata la sua opera?
Dalla maniacale cura della mia biblioteca. A mia moglie ho sempre dato carta bianchissima in casa, tranne la biblioteca. La curo, la pulisco, a volte spolvero i libri uno per uno, li accarezzo e li inserisco in ordine tassativamente alfabetico. A volte mi accorgo che ne manca uno e interrogo moglie figlia e figlio fino a che non scopro dove è finito, se è stato prestato e quando ritorna e in che stato. Odio prestare un libro, piuttosto vado in libreria lo compro e lo regalo. Più di una volta, osservando la mia biblioteca, ho viaggiato nel mondo dei sogni. Avevo già iniziato a scrivere e sognavo un mio libro in mezzo a quelli dei miei scrittori preferiti. Immaginavo il mio libro che ogni settimana cambiava di posto per vedere l'effetto che mi faceva vederlo accostato a quelli di coloro che, ripeto, chiamo i mostri sacri della letteratura. Fino a quando ho sentito che stava diventando un sentimento sempre più potente, allora ho capito che quello di scrivere un mio libro era il grande sogno della mia vita. E grazie a Booksprint, l'ho realizzato.
5. Quanto ha influito nella sua formazione letteraria il contesto sociale nel quale vive o ha vissuto?
Ha fatto tutto il caso, o il destino, come lo si vuol chiamare. Ne sono assolutamente convinto. La casualità di certe situazioni ha creato dinamiche tali da avermi messo in condizione di conoscere persone e vivere esperienze che mi hanno cambiato la vita in senso profondo. In questo senso l'esperienza della vita militare è stata decisiva. Ero in un posto dove difficilmente dopo un anno uscivi nella stessa maniera in cui entravi. Ne ho conosciuti tanti che sono usciti male. Qualcuno non ne è uscito proprio. È stato un anno decisivo per la mia crescita, anche se di questa esperienza non ho ancora scritto nulla. Ma lo farò. In quell'ambito ho avuto però la possibilità di conoscere un paio di persone la cui amicizia si è consolidata nel tempo ed esiste tuttora a distanza di trent'anni. Credo che da questi rapporti sia nata in me una diversa visione della realtà e una maturazione che mi ha portato ad avere interessi diversi da quelli che avevo precedentemente. Poi, la vita è tutta una serie di ingranaggi che si muovono in un certo modo, ma non si sa mai cosa potrà svelare il futuro. Ed è questo il bello...forse.
6. Scrivere è una evasione dalla realtà o un modo per raccontare la realtà?
Essenzialmente, per me, rappresenta l'unica vera e totale forma di libertà materiale per un essere umano. Mentre il pensiero, essendo illimitato, ci consente di creare e distruggere qualsiasi cosa per via dell'infinita possibilità di immaginazione che ci concede, la realtà si scontra fatalmente con una marea di scogli che sono rappresentati dagli aspetti che l'uomo ha creato per il bisogno di crescere in una società civile. Le leggi, l'etica, la morale, le religioni. La scrittura supera tutti questi scogli, li infrange e va oltre. Con la penna si può fare tutto quello che la mente ci suggerisce. È ovvio che io possa scrivere un racconto o un romanzo dai contenuti impresentabili per via di ciò che ho detto prima, la morale il costume ecc. ecc., e un editore non pubblicherebbe mai delle cose estremamente oltraggiose o pericolose per chi le possa leggere, tuttavia nessuno mi può impedire di scriverle. Per me potrebbe anche andare bene tenere sempre chiuse in un cassetto, l'importante è poterle scrivere. Nel contesto della scrittura è chiaro che questa può rappresentare sia un evasione dalla realtà che un modo per raccontarla.
7. Quanto di lei c’è in ciò che ha scritto?
Dipende dai racconti. In alcuni ci sono situazioni veramente vissute che fanno da contorno alla storia, in altri punti di vista personali e un certo tipo di visione della vita. L'unico racconto reale, una storia realmente accaduta, è "Zingarata"; anche in "Stelle e stalle" rappresento un fatto realmente accaduto ma accompagnato qua e là da aggiustamenti personali e non riscontrabili. Tutti gli altri racconti sono frutto di spunti, alcuni reali, da cui poi si è dipanata la trama e la storia. Fondamentalmente concetti come l'incidenza della fatalità nel corso delle nostre vite e l'ambiguità dei valori etici e morali sono predominanti in molti racconti.
8. C’è qualcuno che si è rilevato fondamentale per la stesura della sua opera?
La Booksprint, senza ombra di dubbio. Perché se è vero che tante persone a cui ho fatto leggere alcuni racconti mi hanno spronato a tentare la via della pubblicazione, pur mettendomi in guardia dicendo che sarebbe stato arduo, la Booksprint ha creduto nella mia opera e lo ha dimostrato coi fatti. Li avevo contattati grazie ad una mia amica che aveva pubblicato un romanzo con loro e me ne aveva parlato bene, ma l'esperienza diretta mi ha sorpreso in senso positivo più di quanto mi sarei immaginato. Mi sono sentito davvero seguito a trecentosessanta gradi trovando una competenza e una professionalità che, davvero, non avrei immaginato così profonda. Pensando invece a ritroso, certamente il ricordo della personalità di mia nonna ha contribuito non poco a spronarmi in questo sogno, me la immagino nel mondo meraviglioso che esiste da un altra parte che ride e batte le mani e urla la sua felicità. Poi devo ringraziare il Coro Gap di cui faccio parte, in tutto l'insieme delle persone che lo compongono, perché rappresenta un gruppo in cui la gioia l'amore e la condivisione degli affetti sono talmente potenti e coinvolgenti che è impossibile non farsi assorbire da tutta questa positività, anche e soprattutto nei momenti drammatici che abbiamo vissuto insieme. Forse il manifesto fondamentale a cui devo dare il merito di essere stata la prima pietra della realizzazione del mio sogno risale a una lettera, quella che il nostro Maestro Carlo Rinaldi ci scrisse dieci anni fa alla vigilia del nostro primo concerto. Rappresenta un inno all'autostima, una lettera che ancora oggi non riesco a leggere senza che mi scivoli qualche lacrima e in cui il nostro Direttore mise in ognuno di noi quella che a mio parere dovrebbe essere la scintilla che fa in modo che, quando crediamo in ciò che facciamo, nulla è impossibile: l'autostima, accompagnata dalla gratificazione. Da quella lettera partì il viaggio del nostro Coro, in me invece si introdusse una fiamma in grado di sopperire ai tanti momenti di tristezza e di sconforto, riconducibili essenzialmente al mondo del mio lavoro e che mi mettevano nella condizione di vivere spesso ai bordi della depressione. Ma sapevo che qualcuno si fidava di me, credeva in me. E la fiamma non si è spenta anzi: arde. Infine, ultimo ma non meno importante...la pazienza di mia moglie.Tanta, tanta. Tantissima.
9. A chi ha fatto leggere per primo il romanzo?
Tante persone hanno letto uno o più racconti, nel tempo. Di fatto l'opera completa l'ha letta per la prima volta...il correttore di bozze della Booksprint! E, doveroso dirlo, tanto di cappello! Ha svolto un lavoro eccezionale fin nei minimi particolari con una cura maniacale del dettaglio. Grandioso.
10. Secondo lei il futuro della scrittura è l’ebook?
Si va inevitabilmente in questa direzione anche se penso, e spero vivamente, che il cartaceo non sia destinato a scomparire. Per me esiste solo il libro, io quando leggo devo sempre sentire il profumo della carta, la sensazione preziosa che si ha nello sfogliare le pagine. Tuttavia devo ammettere che, non fosse altro che per un discorso economico, in tempi come questi l'ebook possa avere una presa più diretta, la tecnologia inoltre impone alla società il mito dell'"indietro non si torna"...però! Anche nella musica si diceva che il cd avrebbe ucciso il vinile e invece...
11. Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
Lo stesso pensiero che ho per l'ebook. Un libro andrebbe letto solo ai bambini, con enfasi e partecipazione e non monocorde. A me piace molto leggere e lo scorso anno ero tentato di inoltrarmi nel mondo della lettura creativa, farlo in teatro leggendo delle poesie oppure, come mi è capitato, dei capitoli di grandi romanzi davanti a un pubblico. Ma il libro...considero la lettura una cosa totalmente intima, queste nuove frontiere non mi esaltano particolarmente. Sarebbe come vedere il Colosseo con le impalcature. O la Roma senza Totti...