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29 Giu
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Intervista all'autore - Augusto Abbate -

Ci parli un po' di Lei, della Sua vita. Da dove viene? Come e quando ha deciso di diventare scrittore?
Nato e vissuto a Napoli fino ai vent'anni. Diploma nautico; primo imbarco nel 1963. Due anni dopo iscritto a ingegneria, senza giungere alla laurea. Nel 1967 ammesso all'accademia navale di Livorno.
Nel 1970 congedo col grado di ufficiale di stato maggiore (sottotenente di vascello). Creata una ditta di informatica, vissuta fino al 2015 e poi passata di mano.
Mi è stato sempre spontaneo e facile inventare storie. Il problema nasce quando quelle storie vogliono aver luce su di uno scritto. Occorre superare il muro che separa la fantasia dalla realtà di un foglio di carta. E' facile scivolare e perdersi per questa via. La voglia di scrivere però ha vinto e finalmente ho scritto. Attenzione: non ho deciso di diventare scrittore, che mi sembrerebbe presuntuoso, ho semplicemente scritto.
 
Nell’arco della giornata qual è il momento che dedica alla scrittura?
Non ci sono momenti o spazi temporali prefissati. Spesso accade d'improvviso, quando cioè la fantasia preme rendendo urgente l'uso della penna (del pc..). Ad ogni modo le ore della sera sono quelle più propizie.
 
Il suo autore contemporaneo preferito?
Non saprei dire un solo nome; mi piace Gramellini con la sua scrittura facile, Odifreddi quando racconta di numeri e di fisica sorridendoci sopra, Marone col suo 'Tutto sarà perfetto', L'isola di Arturo della Morante. Ora mi sorprende 'Sangue misto' della Melandri...
 
Perché è nata la sua opera?
Perché è nata non lo so. E' sorta spontanea, come le tante che mi passeggiano in testa e che attendono il loro momento per venire alla ribalta. Jalina è una storia che è vissuta dentro di me per molto tempo. Poi ho iniziato a scriverla senza aver fermato trama, particolari e finale.
Questa è stata la fase più divertente.
I personaggi, a poco a poco, si sono fatti spazio e uno alla volta hanno tagliato e cucito il loro vestito. L’epilogo, l'ultima tappa, è stato quasi ovvio.
 
Quanto ha influito nella sua formazione letteraria il contesto sociale nel quale vive o ha vissuto?
Moltissimo. Come già detto i miei primi vent’anni li ho trascorsi a Napoli.
Il grande Eduardo diceva che basta guardarsi in giro per inventare storie. E allora mi piace osservare con attenzione e con rispetto, e in punta di piedi come se da dietro le quinte, i fatti e le vite del teatro umano.
Un grido di esultanza da un vicolo, voci di donne che litigano nel condominio, ragazzini che si rincorrono, il tabaccaio che inizia la giornata tirando su la serranda del negozio, sono momenti che riassumono storie.
Basta osservare e poi scrivere.
 
Scrivere è una evasione dalla realtà o un modo per raccontare la realtà?
Nel caso di Jalina un modo per raccontare la realtà. In generale può essere entrambe le cose.
 
Quanto di lei c’è in ciò che ha scritto?
Nulla o forse tutto o forse poco.
 
C’è qualcuno che si è rivelato fondamentale per la stesura della sua opera?
No.
 
A chi ha fatto leggere per primo il romanzo?
A mia moglie.
 
Secondo lei il futuro della scrittura è l’ebook?
Sì perché rende più agevole (direi ‘easy’ se non mi desse fastidio l’uso delle parole straniere...) la lettura.
 
Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
E’ anch’esso un buon mezzo per la diffusione. Io personalmente preferisco la carta di un bel libro e non la voce di un buon lettore.

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