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BookSprint Edizioni Blog

08 Feb
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Intervista all'autore - Gioele Fiore -

Ci parli un po' di Lei, della Sua vita. Da dove viene? Come e quando ha deciso di diventare scrittore?
Credo che sia legittimamente onorevole definirmi scrittore, quand'è ancora la mia prima esperienza letteraria. Direi che per adesso va benissimo affibbiarmi la nomea di "cronista".
Ho fatto, dopotutto, una cronaca romanzata di un periodo storico di grande effervescenza nella criminalità. Ad ogni modo, non definirei nettamente un momento preciso in cui la mia scelta di raccontare ha preso il sopravvento. Senz'altro è stata una graduale presa di coscienza, ho maturato nel tempo il grande rispetto per gli strumenti di scrittura e ho voluto farli miei. Perciò, direi che ho scelto di "diventare scrittore" quando ho avuto qualcosa da raccontare. Un vecchio detto dice che metà della propria vita sia destinata a conoscere e l'altra metà a insegnare. Io non ho nessuna pretesa in questa - spero - ancora prima metà di vita di insegnare a qualcuno, però ho qualcosa da trasmettere. E questa è stata la leva che mi ha permesso di stendere il primo romanzo.
 
Nell’arco della giornata qual è il momento che dedica alla scrittura?
Non c'è un momento preciso. Possono essere le prime ore della mattina in cui sono attivo, così come le ultime della sera. Delle volte è un continuum. Stephen King ci impiega un'intera giornata per stendere tre facciate scritte a penna su carta di cui si sente l'odore. Tutto è fatto di momenti: quanto più si è prolifici si tende a essere più trascinati. Naturalmente, tanto più ci sono fattori contingenti che sono prioritari, tanto più è difficile ritagliarsi del tempo. Non c'è un equilibrio in questo.
 
Il suo autore contemporaneo preferito?
Dan Brown, non ho dubbi. Commerciale forse, ma è un'accusa passabile. Le descrizioni sono lunghe quanto basta per influenzarmi. L'antagonista che si percepisce, ma non è quello che in un primo momento ci si aspetterebbe. E la matassa che viene a sbrogliarsi solo alla fine del romanzo. Il tema è il suo punto di forza: è sempre storico, mistico, legato all'arte e alla religione. E ai complotti, ovviamente. Un grande scrittore.
 
Perché è nata la sua opera?
Nasce in significato verista. Non ho nessuna morale da elevare, non ho intenti didascalici. Voglio raccontare, l'ho anche detto prima. Starà al lettore giudicare. Per la sua embriologia, devo riconoscere che mi trovavo a leggere un saggio di Adriano Piroddi, s'intitola "I padroni dell'Avana". Mi sorprese molto lo sguardo en passant sui legami fra il governo cubano prima del Castrismo e la Cosa Nostra. C'erano anche delle immagini di JFK fotografato con l'amante del tempo, Florence Pritchett, all'Hotel Comodoro. Altre immagini invece si soffermavano sulla presenza assidua di Frank Sinatra sull'isola. E fu proprio attraverso Sinatra che, anni dopo, Kennedy avrebbe avuto rapporti professionali a Chicago con Sam Giancana (che ai tempi era boss della malavita in Illinois), domandandogli di spianargli la nomina alla Casa Bianca. Scene mai viste, c'erano interi seggi elettorali piantonati dai mafiosi che illuminavano i votanti, suggerendo chi votare. Roba da referendum in Donbass. Io ho avuto un’idea, che non era confacente però al periodo della presidenza di Kennedy e ho scelto di anticipare tutto al 1956, prima della ribellione castrista.
 
Quanto ha influito nella sua formazione letteraria il contesto sociale nel quale vive o ha vissuto?
Devo dire che la regione di cui sono originario è orfana di titoloni di giornali sulla criminalità organizzata. Dalle mie parti è attiva la Sacra Corona Unita, non così prestigiosa come la Camorra o come la Ndrangheta di questi tempi, ma un'organizzazione del genere è viva e presa sottogamba rispetto alle altre. Tuttavia, il contesto che ho trattato è totalmente distante rispetto alla proliferazione criminosa sul territorio. Neppure il livello delle scelte lessicali può aver influenzato, io ho usato del siciliano in commistione con l'italiano, cosa che di norma non faccio perché non mi appartiene. A conti fatti, direi che il contesto sociale ha influenzato zero sulla formazione letteraria.
 
Scrivere è una evasione dalla realtà o un modo per raccontare la realtà?
Un modo per raccontarla, senza dubbio. C'è chi lo fa in modo realista, chi invece in letteratura di fantascienza, chi usa il genere distopico. Raccontare della realtà non è però necessariamente inserirsi in un contesto reale. Altresì, forse verrebbe meno anche il verosimile. Realtà è fatta di umanità, è fatta di ragione. E allora finché descriviamo il comportamento dei personaggi, che indiscutibilmente non resta distante rispetto a un essere umano, allora stiamo descrivendo la realtà, senza il vincolo programmato "naturalisticamente" dello scenario. Ovviamente ci sono dei generi che scendono ancora di più sulla realtà. A grandi linee, però, non c'è modo di separarsene.
 
Quanto di lei c’è in ciò che ha scritto?
Nulla, la mia non è letteratura interiorizzata. Non c'è un Io, ma è un romanzo in cui ho cercato di ridurre al minimo anche soltanto le prolessi perché la mia presenza non comparisse.
 
C’è qualcuno che si è rivelato fondamentale per la stesura della sua opera?
Tutti gli autori delle fonti da cui ho preso notizie. Prima citavo Adriano Piroddi, potrei soggiungere anche Lara Gigliotti in "Come parlano le mafie", Marcelle Padovani e Giovanni Falcone in: "Cose di Cosa Nostra", Carey Estes Kefauver, Mario Puzo nel trattato "Las Vegas", il saggista Diego Gilardoni e i magistrati da cui ho potuto negli anni apprendere delle conoscenze. Fra questi ultimi, Cataldo Motta ed Elsa Valeria Mignone. Ce ne saranno tanti altri naturalmente. Per la stesura in sé, sono tutti gli autori delle fonti ad essersi rivelati determinanti. Anche solo con un aiuto indiretto.
 
A chi ha fatto leggere per primo il romanzo?
Al gruppo Booksprint.
 
Secondo lei il futuro della scrittura è l’ebook?
Per me no, non mi piacciono. Però, visto che sarebbe una mascalzonata usarmi come metro di giudizio, dico che l'essere tascabili e consultabili in qualunque punto del mondo (con un semplice accesso) è nettamente più confortevole rispetto che portarsi uno scaffale della libreria dietro. Comodo, economicamente vantaggioso, ma non fa per me. Sono troppo tradizionalista.
 
Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
Ci penserò quando ne ascolterò uno.

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