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21 Set
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Intervista all'autore - Fabio Miot -

Parliamo un po’ di Lei, dove è nato e cresciuto?
Sono nato a Trieste, città di provincia e di confine, cosmopolita e ricca di culture diverse.
Città di mare, ma con il Carso alle spalle, segnata da avvenimenti storici internazionali, ferite che in certi casi non si sono ancora rimarginate.
Io sono cresciuto in mezzo a persone dal carattere ruvido ma generoso, che sanno apprezzare i piaceri della vita. Un luogo adatto per vivere in armonia con sé stessi e dedicarsi alla cultura.
 
Che libro consiglierebbe di leggere ad un adolescente?
Senza dubbio I tre moschettieri, di Alexandre Dumas, padre. È un romanzo, per alcuni d’appendice, per altri storico e d’avventura, ambientato nella Francia di Luigi XIII e Richelieu, che parla di amicizia e amore, coraggio e onore, vendetta e morte. È sicuramente un’opera avvincente, che alterna sapientemente momenti drammatici ad altri divertenti, e che può essere letta, attraverso la maturazione di D’Artagnan, anche, come romanzo di formazione.
 
Cosa pensa della progressiva perdita del libro cartaceo a favore dell’ eBook?
Futuro contro passato. Comodità e tecnologia contro tradizione e materialità, nel senso che un libro cartaceo, come oggetto, non si dissolve nel nulla, come può accadere, invece, all’eBook, su tablet o computer (a me è capitato di perdere, per mia negligenza, due capitoli di un certo lavoro…). Sì, io mi schiero con il cartaceo. Il libro è un oggetto che ha una sua anima, che si può conservare sugli scaffali con cura, piegare, sottolineare, e su cui si possono annotare pensieri e riflessioni, che rimarranno là, ai margini di quelle pagine, per sempre. Il peso, dolce, della memoria.
 
La scrittura è un colpo di fulmine o un amore ponderato?
La scrittura è un amore ponderato, assolutamente. L’idea di un racconto talvolta può anche nascere all’improvviso, conseguenza di un certo avvenimento, di una lettura o di un film, ma la preparazione e lo svolgimento del racconto, poi, sono altra cosa, frutto di riflessione e duro lavoro.
 
Cosa l’ha spinta a scrivere questo libro?
Il desiderio di far conoscere un po’ ai giovani un periodo storico controverso, che a scuola, per mancanza di tempo, non si riesce mai ad analizzare. Eppure, molto si capirebbe della realtà odierna, studiando quei decenni densi di cambiamenti e insanguinati.
 
Quale messaggio vuole inviare al lettore?
Che la guerra e la violenza, di ogni tipo e in qualunque luogo, non risolvono mai il problema, semmai lo ingigantiscono a dismisura, e che l’uomo è sempre migliore di qualunque ideologia.
 
La scrittura era un sogno nel cassetto già da piccolo o ne ha preso coscienza pian piano nel corso della sua vita?
Ho sempre amato l’arte, in tutte le sue forme, e fin da giovane avevo coltivato il sogno di lavorare nel cinema, come regista o sceneggiatore. Poi, la mia pigrizia e le vicissitudini della vita mi hanno trattenuto dal trasferirmi a Roma, così a un certo punto ho virato sulla scrittura.
 
C’è un episodio legato alla nascita o alla scrittura del libro che ricorda con piacere?
Nessuno in particolare, ma scrivere sugli anni Sessanta e Settanta, i decenni di cui parlo nel romanzo e che sono anche quelli della mia giovinezza, mi hanno fatto ricordare piccoli aneddoti personali che è stato assai piacevole riportare alla memoria.
 
Ha mai pensato, durante la stesura del libro, di non portarlo a termine?
No, mai. All’inizio ho avuto dei piccoli dubbi sul come far concludere la storia, ma non il timore di non portarlo a termine.
 
Il suo autore del passato preferito?
Del passato remoto Dante e Shakespeare. Se, però, consideriamo passato anche il primo Novecento, allora la mia scelta cade su Luigi Pirandello. Nessuno come lui ha saputo raccontare il relativismo conoscitivo e l’impossibilità per l’uomo di giungere a una verità assoluta. Viviamo tutti indossando una maschera, diversa a seconda di chi ci sta di fronte, e lui ce lo ha ricordato. Un genio.
 
Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
Qualunque strumento che faciliti la diffusione della cultura deve essere accolto con favore, anche se l’audiolibro mi sembra un ritorno al passato, a quando non esisteva ancora la televisione e i nostri genitori ascoltavano alla radio romanzi e drammi declamati da attori professionisti.

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