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17 Ago
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Intervista all'autore - Antonio Di Iorio -

Ci parli un po' di Lei, della Sua vita. Da dove viene? Come e quando ha deciso di diventare scrittore?
Sono nato a Pizzone nel 1951, un piccolo paese in provincia di Isernia. Dopo le scuole elementari, sono stato presso i Salesiani di Napoli/Vomero e Caserta per compiere gli studi di scuola media e ginnasiali.
Ho conseguito la licenza liceale presso il Mario Pagano di Campobasso prima di approdare all'Università Federico II di Napoli, dove mi solo laureato in giurisprudenza. La mia vita lavorativa si è svolta alle dipendenze del Ministero delle Finanze prima e dell'Agenzia delle Entrate poi, dove l'ho conclusa occupando una posizione dirigenziale. Sin da piccolo ho mostrato inclinazione verso la scrittura e ad essa ho affidato il racconto della mia vita attraverso diari e note di accadimenti, abitudini, aneddoti, ricordi e curiosità. Ho conservato il materiale alla rinfusa, pensando sempre che un giorno avrei catalogato e assemblato il tutto per formare una raccolta organica, convinto che, per i posteri soprattutto, sapere in senso la storia - in senso lato - del proprio paese o del paese degli avi, potrebbe rappresentare uno strumento per conoscere anche se stessi. Per questo nel mio libro Terra del Pizzone ho redatto anche un vocabolario dialettale, traducendo i termini in italiano e, laddove è stato possibile, ne ho dato anche l'etimologia.
 
Nell’arco della giornata qual è il momento che dedica alla scrittura?
Non ho momenti fissi, ma prediligo le ore di solitudine e di silenzio (primo mattino, primo pomeriggio, la notte).
 
Il suo autore contemporaneo preferito?
Leggo casualmente i contemporanei. Leggo con piacere Alberto Angela. Amo leggere e rileggere i classici dell'antichità per giungere con un salto di secoli a Leopardi e Manzoni.
 
Perché è nata la sua opera?
Le notizie storiche su Pizzone sono scarsissime e disseminate. Ho dedicato decenni alla ricerca con lo scopo di formare un piccolo patrimonio. Credo di esserci riuscito: in ogni caso, il mio libro è il primo in assoluto nel suo genere.
In sintesi, esso è nato per circoscrivere una identità territoriale che, estrapolata le peculiarità, inevitabilmente presenta aspetti della vita che sono stati comuni a gran parte delle realtà dei piccoli borghi.
 
Quanto ha influito nella sua formazione letteraria il contesto sociale nel quale vive o ha vissuto?
Molto. L'educazione ricevuta dalla famiglia e dai miei educatori mi hanno dotato di particolare sensibilità e rispetto nei confronti dei luoghi di origine, degli amici, dei parenti, dei paesani e ciò influito notevolmente sulla mia formazione in genere. Quella letteraria mi proviene in massima parte dagli insegnamenti ricevuti attraverso gli studi condotti sempre in maniera severa e responsabile, arricchita poi dalle esperienze di lavoro che mi hanno visto impegnato quotidianamente con la penna.
 
Scrivere è una evasione dalla realtà o un modo per raccontare la realtà?
Quando scrivo evado dalla realtà che mi oggi vivo e mi circonda ed entro nella realtà vissuta, passata in maniera molto variegata, e nel contempo ciò si traduce nel raccontarla. Discorrere della realtà attuale non mi piace e quando mi accade è soltanto per fermare con lo scritto situazioni che mi riguardano personalmente.
 
Quanto di lei c’è in ciò che ha scritto?
Ci sono tutto. C'è il mio amore verso i luoghi del mio paese e il piacere dei ricordi che spesso ho tratteggiato in prima persona non per protagonismo, ma soltanto perché si tratta di passaggi condivisi con tutti coloro che hanno popolato i tempi cui i ricordi si riferiscono.
 
C’è qualcuno che si è rivelato fondamentale per la stesura della sua opera?
No, in questo senso... sono l'unico protagonista.
 
A chi ha fatto leggere per primo il romanzo?
A mio fratello maggiore che si liberato in sentimenti di gioia e dolore, di nostalgia e commozione, convincendomi di avere bene operato.
 
Secondo lei il futuro della scrittura è l’ebook?
Lo sarà inevitabilmente e ciò mi rattrista.
 
Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?
Sentire senza sottolineare e senza fare le "orecchiette" alle pagine credo che sia poco utile per ritenere ciò che si è sentito. Sono all'antica? Ne sono fiero, spero, però, gli auditores sviluppino un nuovo metodo fissare bene nella mente ciò che ascoltano.

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